Non avere paura. Dillo. Dì che non hai paura.
Me lo ripeteva sempre la mia mamma, ogni notte. Ogni notte che il sole calava, il buio tornava a bussare alla porta. Il buio gelido che trasformava ogni minimo rumore in passi di qualche mostro. Ho sempre avuto paura del buio, dei mostri che si nascondevano negli angoli, sotto al letto, dietro alla porta. Ho sempre avuto paura e mamma non lo accettava. Non lo tollerava.
Non ho paura.
Mi costringeva a ripetere ogni sera. Mi prendeva il viso con una mano, si avvicinava e me lo diceva con uno sguardo così serio che mi faceva accapponare la pelle. Mamma non è mai stata molto dolce, ma andava bene così. A me bastava che mi considerasse, mi guardasse con i suoi occhi azzurri come il mare. Bastava solamente incrociare il suo sguardo per far tornare dentro di me il sereno. Non fa niente se fosse rimasta in silenzio, sarebbe bastato che mi guardasse e per avere ciò dovevo solamente ubbidire.
<<Non ho paura>>
Ripetevo ogni sera sotto alle coperte. Le lenzuola mi facevano da scudo contro i mostri oscuri, le mettevo addosso anche nelle stagioni più calde, loro solo potevano proteggermi. Dovevo ubbidire e non avere paura mai.
Come potete capire sono stata sempre una bambina molto ubbidiente, lo sono diventata ancora di più quando mio padre è andato in guerra e mamma era triste. Mi ricordo che avevo appena quattro anni. Tenevo la manina di mamma e salutavo il mio amato papà facendo ciao con la mano, mentre mamma lo guardava andare via, farsi sempre più piccolo in lontananza. Restammo lì per ore, io volevo entrare perché avevo freddo e pioveva ma lei disse:
<<No, resta>>
E allora ho ubbidito. Sono stata una brava bambina e ho ubbidito finché la luna non è sorta e le stelle hanno iniziato a brillare in alto in cielo.
Ricordo di essere stata una brava bambina anche quando mamma ha iniziato a bere e io le chiedevo perché lo facesse e lei mi ordinava:
<<Sta zitta, non fare domande>>
Ogni volta che beveva, ogni volta che era ubriaca e piangeva la mancanza di papà non dicevo nulla, restavo zitta chiusa in camera mia.
Sono stata una brava bambina anche a cinque anni, quando passò un anno e papà non tornava e mamma iniziò a uscire con altri uomini. Mi ricordo che uno di quelli non mi piaceva affatto e io glielo dissi.
<<Fatti i fatti tuoi>>
Mi disse la mia mamma e io così feci. Mi chiudevo in camera, mi tappavo le orecchie per non sentire nulla dall'altra stanza, avevo troppo paura.
Mi ricordo che fui pure una brava bambina a sei anni quando mamma preparò le valigie e mi ordinò:
<<Resta in casa, non uscire finché non ritorno>>
Fuori c'era il suo nuovo fidanzato ad aspettarla in macchina. Mi ricordo che fece una bella spesa, molto grande, così grande che c'era cibo a sufficienza per un mese intero.
Mi ricordo che chiuse la luce e se ne andò. Io restai lì, al buio, ad aspettarla. Passò un mese e lei non tornò, ma io fui brava a dividermi il cibo per i vari giorni, l'acqua per i vari giorni e quando l'acqua finì iniziai a bere quella del rubinetto. Mi facevo solo la doccia, lo shampoo non lo sapevo fare, volevo che la mia mamma me lo facesse.
Lei non tornò, e io non riuscii ad incrociare mai più il suo sguardo, non potei dirle che non avevo più paura del buio.
Ma ricordo a fine mese, la porta si aprì e colui che tornò fu papà. Il mio papà che si aspettava di essere accolto da sua moglie, ed invece trovò solo sua figlia. Mi ricordo che corsi tra le sue braccia e scoppiai a piangere. Le lacrime uscivano copiose come se fossero due cascate e mi accorsi solo dopo che gli mancava una gamba, scoprì poi che l'avesse persa in guerra.
<<Va tutto bene. Sono qui>>
Mi sussurrò papà all'orecchio.
<<Sono qui, principessa>>
Lo fece ancora e ancora finché non crollai tra le sue braccia.
Mi ricordo che dopo quel momento le cose andarono meglio, certo con alti e bassi. Andammo a vivere con la nonna, la mamma di papà, e ci furono nuove aggiunte alla famiglia, una giovane ragazza e il suo fratellino e grazie a loro capii molte cose.
Lì ero riempita di amore, lì mi lasciavano la luce accesa la notte, lì non dovevo sentire nulla di osceno, lí non dovevo sentire nessuno piangere, lì non dovevo vedere nessuno bere.
Lí ero amata, rispettata e mi dimenticai di lei...
Della mia mamma, non volli saperne più nulla.Finché un giorno, un uomo in giacca e cravatta non bussò alla porta e disse:
<<È lei Esmeralda Eva Watson?>>
<<Si sono io, chi è lei?>>
<<Lavoro per vostra madre o, meglio, lavoravo. Le mie più sentite condoglianze, vostra madre è venuta a mancare>>
È il primo settembre e manca solo un mese al mio ventesimo compleanno. Il sole sta per tramontare e all'udire queste parole, nonostante mi avesse abbandonata... Il buio arrivò e io fui travolta da essa.
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C'era una volta: Un amore Fatale
Mystery / ThrillerIl termine fatale è un aggettivo che è destinato a chi sarà il protagonista di eccezionali vicende, ed è il termine perfetto per questo amore. Racconto di un amore imperfetto, pieno di colori, splendente ma pauroso, che dovrà affrontare passato e pr...