21. Un amico è così

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Dopo qualche ora...

Ignazio

Premetti con maggior forza il piede sull'acceleratore e ignorai la decina di semafori gialli e rossi a cui sfrecciai davanti.  Dovevo arrivare da lei il prima possibile.
Presi la superstrada e guidai ai cento all'ora, non riuscivo ad  immaginarmi come stesse la famiglia di Amalia. Amalia. Aveva bisogno di me.

Parcheggiai la macchina nel parcheggio dell'ospedale fuori dalle strisce ma, in quel momento, poco m'importava. Spalancai la porta del pronto soccorso e camminai in cerca di qualche sguardo familiare. 

"Ignazio." 

Riccardo corse nella mia direzione e si buttò tra le mie braccia. Non eravamo mai andati molto d'accordo ma, in quel momento, ci saremmo buttati tutto alle spalle. Non era il momento giusto per litigare.  Lo strinsi in un forte abbraccio senza proferire parola, lasciando che la stretta parlasse per conto suo. Io ci sarei stato. Non l'avrei lasciato da solo

"Ce la farà, Riccardo.", lo sostenni per una spalla, "Ce la farà."

"Da quanto siete qui?", gli chiesi, notando le sue profonde e visibili occhiaie violacee.

Riccardo si cacciò le mani nelle tasche dei jeans. "Da questa mattina." 

Erano quasi le sette di sera e, ancora, la famiglia Ferraris non aveva avuto nessuna notizia dall'operazione.
Ci incamminammo verso la piccola saletta d'attesa, dove Anastasia e Aurora stavano bevendo in religioso silenzio una tazzina di caffè. 

Poi, vidi lei

Stesa su una fila di sedie, la testa poggiata sulla sua borsa bianca e il corpo ricoperto da un giubbino. M'inginocchiai accanto a lei e le sfilai le scarpe da ginnastica dai piedi, per poi alzarle il capo e poggiarlo sul mio petto una volta seduto. Amalia iniziò a tremare, così avvolsi maggiormente il suo giubbino attorno al suo corpo gracile e indifeso, per scaldarla di più.
Anastasia mi guardò grata, annuendo silenziosamente. Mi sarei preso cura io di Amalia.
L'avrei protetta dal mondo e le avrei dato tutto quello che le fosse servito.

Il vociare lontano di qualcuno mi fece aprire gli occhi, accecandomi con le maledette luci a led del corridoio. Mi guardai intorno, la saletta d'attesa era completamente vuota. Lanciai un'occhiata all'orologio che portavo al polso e notai fossero le dieci di sera passate.
Avevo dormito più di tre ore. Amalia non era più accanto a me, forse era scappata a gambe levate non appena mi aveva visto. Come biasimarla.
Mi alzai stropicciandomi gli occhi e guardai da una parte all'altra del lungo ed infinito corridoio.

"Ti sei svegliato." 

Mi voltai di scatto, trovando Aurora con l'ennesima tazza di caffè in mano. 

"Sì.", risposi avvicinandomi, "Mi sono addormentato. Questa mattina siamo andati in studio presto e-" 

"Basta, Ignà.", sussurrò, "Sei qui, questo è l'importante." 

Annuii silenziosamente, cercando di trovare un modo per chiederle di Amalia. Ma quando iniziai a formulare la domanda, proprio lei fece irruzione in corridoio. Osservai il suo viso, il cuore mi fece subito male e le mani cominciarono a sudare freddo. Era distrutta. Amalia sostenne il mio sguardo, poi si lasciò andare. Cadde in ginocchio e, presa dagli spasmi, scoppiò in un pianto disperato. Io e Aurora scattammo subito verso di lei. Le circondai il viso pallido con le mani e la obbligai ad avere un contatto visivo con i miei occhi. Non sapendo come farla alzare, la presi in braccio dolcemente e la strinsi contro il mio petto, lasciandole un bacio tra i capelli. Premetti le mani sulla sua schiena per fermare i singhiozzi che, ormai, avevano cominciato a rimbombare in tutta la stanza. 

𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora