31. Anima mia

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Sentii la puzza di alcol e di fumo stando davanti alla sua porta, indecisa se entrare o tornarmene a letto, cancellando tutto quello che, in soli dieci minuti, era successo. Ma, alla fine, decisi di entrare. La camera era buia e il fumo prodotto da una sigaretta accesa si notava anche in assenza di luce. Lo schianto improvviso di una bottiglia di vetro al suolo mi fece rabbrividire e il ghigno roco del ragazzo seduto al buio in balcone mi spezzò completamente il cuore.

"Sei proprio un testardo.", ringhiò l'ombra portandosi la sigaretta tra le labbra, "Vero, Piè?"

Mi avvicinai lentamente.

"È inutile che tu tu avvicina, non ti ascolterò."

Ascoltai con attenzione ogni sua singola parola, cercando di trattenere qualche singhiozzo che minacciava di rimbombare in quella buia e silenziosa stanza. Non l'avevo mai visto così.
O forse, era solamente la prima volta che beveva così tanto. Rimasi ad osservarlo mentre spegneva la sigaretta sul pavimento del balcone e ne accendeva una seconda, portandosela tra le labbra e ispirando il fumo.

"Merda, Piero.", imprecò Ignazio sbattendo leggermente la testa contro la ringhiera di metallo, "Dimmi cosa cazzo devo fare."

Un altro passo avanti. Un secondo. Un terzo.
Arrivai davanti alla porta finestra del balcone e rimasi ferma lì, ad aspettare che continuasse il suo discorso infondato. I suoi capelli erano leggermente sudati e scompigliati, la camicia bianca  usata qualche ora prima per il concerto in teatro era aperta nei primi bottoni e lascia intravedere la bussola che aveva tatuata sul petto, illuminata dalla luce fioca che trasmetteva dall'alto la luna.

"Dimmi cosa devo fare, con lei.", chiese di nuovo, "Dimmelo, ti prego."

'Dimmi cosa devo fare, con lei.' C'entrava qualcuno. E avevo troppa paura di poter essere io.

***


Un'altra sigaretta. Una quinta, poi una sesta.
E fu solo quando arrivò alla settima che decisi di prendere coraggio e di sistemarmi al suo fianco. Poggiai anch'io il capo contro la ringhiera di ferro senza proferire parola, lasciando che il silenzio parlasse al mio posto. Sentivo il suo profumo. Un mix di colonia e di tabacco, che combaciavano perfettamente tra loro e che lo rendevano ancora più bello ed irresistibile del solito.

"Non so mai cosa ti passa per la testa.",  Ignazio spense l'ennesima sigaretta e si cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti.

"Ed è una cosa brutta?", chiesi io, dando voce ai miei pensieri dopo tanto tempo ad essere rimasta a fissarlo nel buio.

"Credo di sì.", rispose incrociando le gambe, "A volte vorrei capire cosa provi davvero quando mi stai accanto."

Voltai il capo nella sua direzione e incontrai i suoi maledetti e splendidi occhi, perdendomi al loro interno un'altra volta. Ignazio inclinò il capo e serrò gli occhi, esausto e ubriaco.

Aveva bevuto, sì. Ma lui non mi faceva schifo o ribrezzo. Non avrebbe mai potuto. Tutti quanti avevamo i nostri momenti di debolezza, e questo era uno di quelli. Ed io lo rispettavo.

"Lo sai cosa provo.", ammisi sincera stringendomi all'interno della mia felpa, "Lo sanno quasi tutti, oramai."

"No, che non lo so."

Un mezzo sorriso si fece spazio sul mio volto, portandomi ad accarezzare i suoi capelli sudati e impregnati dall'odore del fumo.

"Immaginalo, allora.", sussurrai mentre mi sistemai al suo fianco, facendo sistemare il suo capo sulla mia spalla.

"Non ho abbastanza forze per sognare, Lia."



Quando arrivò l'ora di dormire, aiutai Ignazio ad alzarsi, avvolgendo un braccio attorno alla sua vita, e lo feci accomodare sul letto, rimboccandogli le coperte. Chiusi la porta finestra e aumentai il riscaldamento, probabilmente quella mattina ci saremmo risvegliati entrambi colpiti dall'influenza. Ma n'era valsa la pena.

Bagnai leggermente il viso sudato di Ignazio con un asciugamano e lasciai una dolce carezza sulla sua guancia, per poi allontanarmi e dirigermi verso la porta della sua stanza.

"Lia?"

Mi bloccai con una mano sulla maniglia della porta e girai il capo, guardando l'ombra di Ignazio stesa sul letto.

"Sì?"

"Resta con me."

***

La pioggia scendeva incessante e potente, piccole goccioline di acqua scorrevano lungo i vetri della portafinestra e due mani calde stringevano la presa attorno la mia vita.

Sapevo che sarei dovuta scappare a gambe levate da quella stanza e ritornarmene nella mia, dimenticando tutto. Sapevo che avrei dovuto dare retta ad Aurora e cercare di togliermelo dalla testa. Sapevo che avrei dovuto parlare di tutto quello con qualcuno, ma il dolore era solo mio.
Mio e di nessun altro.

Socchiusi gli occhi non appena la punta del naso di Ignazio cominciò a sfregare sulla pelle del mio collo, facendo fremere ogni parte del mio corpo. Piccoli baci umidi e leggeri disegnarono il contorno del mio viso, del mio collo e delle mie spalle coperte dal tessuto della felpa.

Ma era giusto così. Noi andavamo bene così com'eravamo. Niente, in tutto quello, era sbagliato.

Mi girai lentamente nelle coperte ed incontrai i suoi occhioni scuri, leggermente circondati da qualche occhiaia violacea, perdendomi nella sua bellezza. Non avrei mai smesso di dirlo: Ignazio era il ragazzo più bello che io avessi mai visto in tutta la mia vita.

"Buongiorno.", sussurrò Ignazio, limitandosi ad accarezzarmi una guancia.

"Giorno.", sussurrai io di rimando, "Come ti senti?"

Ignazio si avvicinò lentamente e poggiò una mano sulla base della mia schiena, incitandomi ad avvicinare il mio corpo maggiormente al suo. E così feci.

"Meglio, ora.", rispose sbadigliando, "Mi dispiace, sai?"

Scossi silenziosamente il capo e lo fissai negli occhi, lasciando che parlassero al mio posto.
Avrei dovuto essere io a scusarmi, avrei dovuto essere io ad implorare di essere perdonata.

"Non devi scusarti di niente.", dissi passando il pollice all'angolo delle sue labbra rosee e leggermente gonfie. Ignazio serrò gli occhi e mugolò qualcosa a me incomprensibile, per poi riaprire gli occhi ed osservarmi come non aveva mai fatto prima d'ora. Il suo sguardo ardeva di desiderioEra intenso, tenebroso, dolce e incoraggiante. Solo, perfetto.

"Devi dirmi cosa provi per me, Amalia.", mi supplicò Ignazio con un filo di voce, "Sono stanco di sognarti la notte e di non poterti avere come vorrei."

Abbassai lentamente gli occhi sulle nostre mani congiunte sotto le coperte e li riportai velocemente sul suo viso. Avevo paura, cazzo se ne avevo.

"Baciami, Ignazio."

E le sue labbra raggiunsero le mie senza un minimo di esitazione.

𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora