38. Solo se insieme

259 14 16
                                    



Afferrai velocemente il mio cellulare dal piano di lavoro della cucina e uscii di casa sbattendo la porta, cominciando a camminare velocemente. Ignazio non sarebbe mai cambiato, sarebbe rimasto per sempre una testa calda; parlare con lui era un po' come parlare con un muro, potevo dirgli qualunque cosa ma a lui non sarebbe comunque mai andato bene. Decideva e faceva sempre di testa sua, si lamentava se non gli davo ragione anche quando sapeva di non averla: aveva un brutto carattere, semplice.

Imboccai la via della mia vecchia casa e mi fermai davanti al condominio, suonando poi al campanello dei miei genitori. Una volta aperta la porta, salii velocemente le due rampe di scale ed entrai nell'appartamento, salutando la mia famiglia.

"Ciao tesoro, cosa fai qui?", mi chiese mia madre mentre mi stringeva in un veloce abbraccio, "Ci siamo viste ieri, qualcosa non va?"

Sbuffai sonoramente alla sua domanda e mi lanciai a peso morto sul divano, serrando gli occhi e giocando leggermente con la mia coda di cavallo.

"Lui non capisce che è difficile anche per me.", sbottai d'un tratto, osservando poi le facce confuse dei miei genitori, seduti sulle sedie della tavola da pranzo. "Non gliene frega un cazzo di nessuno, pensa solo a sé stesso e trascorre quasi tutto il giorno nel suo studio a suonare il pianoforte e la chitarra. Poi sono io quella che è sempre in biblioteca e che non lo calcola appena ritorno a casa."

Mia madre trattenne un sorriso e s'avvicinò a me, sedendosi sul bracciolo del divano, poggiando poi un braccio attorno alle mie spalle.

"Quante volte ti ho detto che gli uomini sono difficili, Amalia?", mi domandò lei sogghignando, "Ora mi capisci quando mi lamentavo di tuo padre?"

"Non mi sembra d'essere poi così male.", intervenne papà, facendomi ridere lievemente.

"Questa storia va avanti da qualche giorno. Ho provato a parlargli, ma entrambi siamo presi dal nostro lavoro e non abbiamo nemmeno il tempo di stare insieme. Quando io ritorno dalla biblioteca, Ignazio deve scappare in studio; quando torno per pranzo, lui registra fino a sera.", sospirai, "Sembra semplice ma non lo è per niente."

"Avete solo bisogno di staccare un po' entrambi, Lia.", constatò mia madre massaggiandomi una spalla, "Siete entrambi stressati e il week-end è vicino, prendetevi una pausa e trascorrete un po' di tempo insieme."

Forse mia madre aveva ragione. Forse staccare un po' da tutto e stare un poco insieme avrebbe aiutato me e Ignazio a ritrovare la pace che c'era prima e avremmo smesso di litigare continuamente per delle piccolissime cose.

Mi morsi l'interno della guancia ed annuii leggermente, per poi essere distratta dalla suoneria del mio cellulare.

"Rispondigli, dai.", mi incitò mio padre mentre beveva un sorso d'acqua dal bicchiere di plastica. Scossi la testa e cacciai il cellulare nella tasca dei miei jeans corti, poi mi alzai dal divano.

"Dio, quando fa così non lo sopporto."

***

"Dove sei stata?"

Feci capolino in cucina e mi fermai sullo stipite della porta, poggiando una spalla contro al muro. Erano giorni che l'aria in casa era diversa: poche volte io e Ignazio avevamo parlato o mangiato assieme, poche volte eravamo rimasti sul divano abbracciati come tutte le sere a guardare qualche film o fiction di cui poco ci importava ma che guardavamo solo per passare del tempo insieme. Ma forse era questo che significava convivere: saper accettare ogni lato della persona con cui condividi te stessa, accettare i momenti no e saperli superare insieme, dirsi quello di cui si è o non è d'accordo.

𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora