26. Nelle tue mani

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Amalia

Era gennaio. Piccoli e finissimi fiocchetti di neve cadevano sui tetti delle case e sui tettucci delle macchine, scivolando e attaccandosi appena al suolo. Nevicava. A Milano.

Poggiai le mani sul termosifone della mia camera, lasciando che il calore penetri nella mia pelle.
Era martedì pomeriggio ed ero appena tornata dalla biblioteca che, stranamente, era vuota e talmente silenziosa da far quasi paura. Nemmeno una povera anima viva. Vagai per casa senza meta, immersa nei miei tanti pensieri, quando d'un tratto la suoneria del mio cellulare cominciò a rimbombare nel caldo abitacolo. Risposi subito, senza leggere chi fosse a chiamarmi.

"Pronto?"

"Lia?"

Cazzo. Calma, dovevo stare calma. "Ehi.", risposi semplicemente, con un filo di voce.

"Disturbo?"

Tentennai un po' su che cosa rispondere, cercando di mantenere un tono di voce abbastanza tranquillo e sicuro di sé.

"Uhm, no.", dissi sincera, "Successo qualcosa?"

"No, no, niente di particolare.", sospirò lui dall'altra parte della cornetta, "Hai programmi per domani?"

, pensai. Ma potevano aspettare, giusto? "Sono libera.", rispondo su di giri.

"Ti va di andare a Bologna?"

Cosa? Rimasi bloccata sul posto. A Bologna?  "B-Bologna?", chiesi balbettando, "Con te?"

"S-sì, Lia, con chi vorresti andarci?", ridacchiò divertito. Stupida, stupida, stupida.

"M-ma nevica e-"

"D'accordo, Lia, fa niente.", sussurrò lui dispiaciuto, "Avevo solo bisogno che qualcuno mi facesse compagnia mentre sistemavo le ultime cose per la vendita della casa."

Rimasi in silenzio picchiettando le dita sulla superficie in legno del tavolo, non sapendo cosa dire.

"Ignazio.", lo chiamai solo dopo alcuni secondi.

"Mhm?"

Sospirai. "A che ora passeresti?"

***

Mi rannicchiai contro il morbido sedile della macchina e mi riscaldai le mani, sfregandole sui jeans leggermente scoloriti e gelidi che indossavo.

"Alzo il riscaldamento?"

Annuii silenziosamente e osservai Ignazio maneggiare con alcuni tasti, mentre le bocchette del riscaldamento cominciarono a spruzzare una ventata d'aria calda per tutto l'abitacolo. Ignazio afferrò velocemente la mia mano con la sua libera e la massaggiò con dolcezza, passandone con altrettanta delicatezza il dorso con il pollice. E la mia pelle cominciò a fremere e a tremare per il piacere.

Piccoli fiocchi di neve caddero leggeri sul vetro della macchina e sulla strada, scricchiolando sotto le ruote rivestite dalle catene. Un silenzio tombale echeggiò nel piccolo abitacolo, rendendo ancora tutto più difficile. 

Il nostro rapporto non era più lo stesso, non era più semplice e ingenuo com'era un po' di tempo prima. La tensione e la passione erano palpabili nell'aria, pesante e calda, e i nostri corpi ardevano di qualcosa a noi stesso sconosciuto, qualcosa che non sapevamo ancora definire del tutto. Non sapevo quanto quella situazione fosse giusta, vera, ma sapevo che non potevamo fare finta di niente. Io non potevo fare finta di niente. Non potevo chiudere un occhio su quello che era successo tra di noi e non potevo dimenticare tutte quelle emozioni fantastiche che avevo provato e che continuavo a provare ogni giorno. Qualcosa era scattato, qualcosa mi diceva che non saremmo mai potuti essere soltanto semplici amici. Anche se, d'altronde, sarebbe dovuto essere proprio così. Saremmo dovuti essere solo due cari amici che si vedevano nel weekend e che uscivano insieme, come due normalissimi ragazzi di venticinque anni. E sarebbe stato tutto diverso. Ognuno sarebbe andato per la sua strada, ci saremmo visti solo qualche volta ogni due o tre mesi e non sarebbero accaduti così tanti casini ed incomprensioni. Non sarebbe accaduto di finire a letto insieme più di una volta, non ci saremmo lasciati scappare qualche bacio improvviso, qualche carezza o, peggio, qualche sguardoMa una frenata improvvisa mi distolse dai miei pensieri.

𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora