12. Stupendo

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Basta. Tirai l'ennesimo calcio negli stinchi di Aurora. NienteNon aveva contato assolutamente a nienteContinuava a russare come se non ci fosse un domani.
Mi tappai le orecchie con il cuscino e cercai in tutti i modi di riaddormentarmi, ma era impossibile. Non aveva mai russato così tanto, giuro.

D'accordo.

Mi scoprii le gambe, buttai il lenzuolo da una parte e scesi innervosita dal letto. Camminai al buio per la stanza, facendo attenzione a non sbattere contro qualcosa. Ma, come sempre, inciampai.

"Cazzo!", imprecai a bassa voce. Mi presi l'alluce del piede sinistro e lo massaggiai lentamente, mordendomi la lingua per non mettermi ad urlare dal dolore. Dovevano proprio metterla lì quella poltrona? Dannazione.

Procedetti lentamente verso l'uscita e tastai con la mano il muro, per trovare l'interruttore della luce. Il piccolo lampadario blu appeso al centro della camera si accese subito, illuminando l'abitazione.

"Mhmh."

"Scusami, Auri, ma non ci vede-", mi voltai nella sua direzione e...quella non era Aurora.
Rimasi inebetita davanti alla vista dell'essere umano che stava occupando il mio letto matrimoniale. Quello era l'incubo peggiore che avessi mai fatto di tutta la mia esistenza.
La pizza mi aveva fatto male. Troppo male.

"Lia-", mugugnò qualcuno, "-spegni la luce."

Sbattei più volte le palpebre e mi pizzicai le braccia. Stavo impazzendo. Letteralmente.
Indietreggiai velocemente e finii per sbattere con la schiena contro la porta. Cosa diavolo mi stava succedendo? Non avevo mai fatto incubi, né avuto visioniTutto quello non poteva essere vero.

Afferrai la mia spazzola per capelli dalla cassettiera e mi avvicinai titubante al letto, prendendo tutto il coraggio possibile che avevo in corpo. Con uno scatto, afferrai con forza il lenzuolo verde e scoprii completamente il corpo dell'intruso. Sì. Ero impazzita sul serio.

Ignazio era sdraiato a pancia in giù sul materasso, a torso nudo e con indosso un paio di boxer blu. Dio, era in mutandeSul MIO letto. Mi coprii il viso con le mani e mi girai di scatto guardando da un'altra parte, mentre sentivo le guance iniziare a scaldarsi.

"Ignazio!", urlai seccata, ma allo stesso tempo impaurita. Un tonfo attirò subito la mia attenzione e mi fece voltare, notando la scena più divertente che io avessi mai visto.
Ti stava bene, Boschetto.

"Si può sapere perché urli?", mi chiese lui.

Ignazio era caduto dal letto e si trovava steso sul pavimento, completamente avvolto nel lenzuolo. Quasi quasi avrei dovuto scattargli una foto.

"Non ridere."

Sì, lo ammetto. Stavo ridendo come un'isterica.

"Adesso a te ci penso io."

Non so come sia potuto succedere, ma Ignazio mi prese in braccio velocemente e mi buttò sul letto, iniziando a torturarmi facendomi il solletico. Era un uomo morto. Mi dimenai sotto di lui scalciando e agitando le braccia, mi stava facendo impazzire. Dio, detestavo il solletico. Lo soffrivo troppo.

"Così impari a ridere di me."

I suoi erano sono sempre gli stessi, dolci e sicuri di loro, capaci di mandare in confusione chiunque li stesse fissando. Cioè, io. Ammirai il suo volto ancora assonnato e le sue labbra gonfie, che solo dopo qualche secondo notai essere troppo vicine alle mie.
Avrei voluto sporgermi per sfregare le mie labbra contro le sue, sentire il suo sapore, baciarlo facendogli capire il suo sbaglio. Ma dovevo riprendermi. Subito.
Le sue mani afferrarono dolcemente il mio volto e ne accarezzano lente i lineamenti. Chiusi gli occhi per una frazione di secondo e mi godetti quelle piccole carezze, che mi stavano letteralmente mandando in tilt i nervi. Doveva smetterla.

𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora