30. Unici al mondo

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Ignazio

Salutai velocemente Michele e Barbara e mi sedetti accanto ad Aurora e Gianluca, rimanendo in religioso silenzio per non mettere fine alla loro importante e sdolcinata conversazione. Restai seduto al mio posto fissando distrattamente il mio bicchiere di vetro, pensando ancora una volta a leiA lei che, quel giorno, si trovava tra le braccia del mio migliore amico, rifugiandosi e proteggendosi nel suo abbraccio. A lei che, a quanto pare, aveva smesso di cercarmi da quasi un mese e iniziato anche ad evitarmi, senza darmi nessuna spiegazione. A lei con cui avevo fatto per ben due volte l'amore e a cui non riuscivo a smettere di pensare nemmeno per un dannato secondo.

E no, non era solamente attrazione fisica.

Qualcosa mi logorava dentro, la sua troppa e costante lontananza mi preoccupava ogni giorno di più e la sua vicinanza mi mandava completamente fuori di testa. Non sapevo se per Amalia fosse lo stesso, ma lei era tutto per me. TuttoMa dovevo dimenticarla, dovevo farlo. Mi stavo autodistruggendo a forza di vederla felice con altri e a forza di starle lontano per fare del bene ad entrambi, per fare del bene a leiForse non ero l'unico a soffrire, forse non avrei dovuto dirle quelle cose la sera in cui eravamo bloccati a Bologna. Forse avrei dovuto chiudere la mia dannata bocca e tenere i sentimenti per me, lasciandoli all'interno del mio cuore e aspettando che prima o poi sparissero e che se ne creassero di nuovi verso qualcun altro.

Strizzai gli occhi e una lacrima solitaria scese sul mio viso, bagnando appena la mia guancia.
Non avevo mai piantoNon mi era mai capitato di pensare a qualcuno, se non a mia madre, per poi piangere. Mai. Le lacrime non erano mai scese per nessuna ragazza, piangevo solamente in silenzio, per paura di non essere capito. Invece quella sera, seduto ad un tavolo di un ristorante circondato da tutti gli amici più cari e il mio staff, piansiPiansi noncurante del fatto di poter essere notato, senza trattenermi e senza ingoiare uno dei tanti ed ennesimi gropponi in gola che mi si erano formati negli ultimi tempi. Piansi perché ero stanco di mostrarmi sempre forte, stanco di lottare per chi amavo e per chi desideravo davvero restasse al mio fianco.

Lei aveva paura di essere amata.

Ma non poteva obbligare le persone che provavano un grande affetto nei suoi confronti a lasciarla sola, a lasciarla nelle mani di qualcun altro. Non poteva obbligarmi a starle lontano, non poteva obbligarmi a cambiare strada e ad amare qualcun'altra. Non poteva, io non ce l'avrei fatta. E , quella sera, glielo avrei dimostrato. Avrei cantato per lei, avrei cercato i suo occhi, mi sarei perso di nuovo nel suo sguardo e nella sua rarissima bellezza e avrei conquistato il suo cuore fino all'ultimo pezzo.


***

Amalia

C'erano cose che non potevo evitare e che non sarei riuscita a nascondere. Cose che, a quanto pareva, riuscivano a farmi cambiare idea, rompendo ogni muro che mi circondava mostrandomi la via del ritorno. Cose che, anche nel silenzio, sentivo e non potevo fare a meno di pensare per tutta la notte. Cose che, anche se cercavo di nascondere e di scacciare, spesso diventavano persone.

C'erano persone che, nonostante tutto, mi entravano nel cuore e non se ne andavano più, marchiandolo e abitandolo fino alla fine dei miei giorni. Persone che, anche se provandoci, non sarei mai riuscita a dimenticare e da cui non sarei potuta scappare, con cui avrei deciso di soffrire piuttosto che abbandonare per poi non rivederle più e vivere nel pentimento per tutta la vita. Persone a cui non potevo smettere di voler bene, che non potevo smettere di amare.

Forse Ignazio aveva ragione. Non c'era nessun problema.

...

Mi girai e rigirai nelle coperte pesanti del mio letto e aspettai di trovare la posizione giusta per riaddormentarmi, ma invano. Ero stanca, stanca di tutto. Stanca di lui, stanca della sua costante determinazione e del suo desiderio di felicità. Figuriamoci se io avrei potuto renderlo felice. Non riuscivo nemmeno a rendere felice me stessa. Oramai ero un caso perso, una ragazza che era stata tradita troppe volte per cominciare a voler bene ad un'altra persona e a renderla felice.

Ma lo avrei voluto, tantoAvrei voluto essere come le altre ragazze, come Aurora, come tutte le persone su questo fottutissimo pianeta. Avrei voluto essere spensierata come alcune di loro, vivere i miei venticinque anni con felicità e ingenuità, senza rimanere interi giorni rinchiusa nella mia stanza a crogiolarmi e a rammaricarmi per i miei sbagli e per tutte le mie perdite. Avrei voluto vivere davvero, senza rendere conto a nessuno. Nessuno.

Ma fu solo quando il suono di due colpi secchi alla porta rimbombò nella stanza, che mi resi conto di avere il volto rigato di lacrime.

Buttai le lenzuola da una parte e mi diressi lentamente verso la porta della mia stanza, dove dalla fessura del pavimento entrò la leggere luce a led del corridoio. Altri due colpi, sempre più insistenti. Guardai dallo spioncino e aprii di colpo la porta, lanciando un rumoroso sospiro di sollievo alla vista di Piero in pigiama. Strizzai gli occhi per la potente luce gialla e m'appoggiai allo stipite della porta, portandomi una mano davanti alla bocca per nascondere uno sbadiglio.

"Lia.", sussurrò Piero poggiando entrambe le sue mani sulle mie spalle, "Devi aiutarlo."

Corrugai la fronte e osservai il suo viso preoccupato, mettendo le mani sulle sue. "Piero.", mormorai di rimando, "Cosa sta succedendo?"

"Vieni."

Obbligata, chiusi velocemente la porta e cacciai le chiavi nella tasca della felpa, seguendo il passo svelto e deciso di Piero.

"Potresti dirmi cortesemente dove stiamo andando?", gli domandai, cominciando ad irritarmi.

Piero mi fece entrare dolcemente nell'ascensore e pigiò con forza e più volte l'indice sul pulsante per il terzo piano, non dando tregua al suo povero labbro quasi sanguinante.

"Piero.", ritentai seria, "Cosa c'è?"

"È per Ignazio.", sussurrò d'un tratto, poggiando poi una mano alla base della mia schiena per  incitarmi ad uscire dall'ascensore, "Ha bevuto."

Mi fermai di colpo nel mezzo del corridoio e mi scrollai il braccio di Piero dalle spalle, cominciando ad indietreggiare lentamente. "Non è un mio problema.", risposi, continuando a camminare all'indietro.

"Sì, che lo è.", mi disse Piero avvicinandosi piano piano a me, "È il vostro problema."

Scossi impercettibilmente il capo e deglutii rumorosamente, cercando di non dare sfogo a tutte le lacrime che quella notte avevano minacciato di scendere ancora una volta lungo il mio viso.

"No.", risposi amareggiata, "Non più."

"Ti scongiuro, Lia.", mi supplicò Piero con voce tremante, "Devi farlo ragionare."

"Non posso.", ripetei sconfitta, "Fallirò, come sempre."

La mano di Piero si poggiò delicatamente sulla mia guancia e l'accarezzò, facendo vagare i suoi occhi lungo il mio viso, per poi soffermarsi sulle mie labbra leggermente schiuse per la sorpresa. Una leggera smorfia di dolore si fece spazio sul suo volto, poi lasciò la presa attorno alla mia vita e si spostò sul lato destro del corridoio, lasciandomi passare.

"Vai da lui, Lia, ha bisogno di te."

Ed io avevo bisogno di lui.


𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 | I.BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora