Dopo aver salutato Thomas, visibilmente deluso dal bacio tra me e Ryan a cui ha assistito, rimango sola con i miei genitori, e mi vedo costretta a portarli in mansarda. Li faccio entrare, e le loro espressioni contrariate non si fanno attendere. Si guardano un po' intorno, in un misto di dispiacere e rabbia, per poi appoggiare i cappotti su una delle sedie della piccola zona cucina.
Se mi avessero avvisata, magari avrei pulito un po' meglio, penso, passando uno straccio sul tavolo per togliere le briciole dei biscotti.
«Ci avevi assicurato che avevi trovato un buon posto dove stare» inizia mia madre. Il maglione che indossa maschera le sue forme, è una donna in carne e bassina, con un taglio di capelli che aumenta la rotondità del suo viso.
«È un buon posto, mamma» rispondo, la voce piatta e la voglia di discutere sotto zero.
«Lo sai che ti possiamo aiutare noi, prendiamo un appartamento vero» interviene mio padre.
«Mi avete già pagato la retta dell'università, non ho intenzione di chiedervi altri soldi per stare in affitto» dico, mettendo a bollire l'acqua per il tè.
Mi fermo un momento a guardarli. Le mani che premono sul bancone della cucina, le labbra che si arricciano e la tensione a battermi sulle tempie. Un po' mi mancano, è vero. Forse mi mancano le abitudini che avevamo a casa, l'odore dell'inverno in arrivo tra le mura di casa Astini, le voci, i litigi, le tradizioni. Osservo gli anni che avanzano sui loro visi, le espressioni sempre più cupe e tristi, e mi dispiace per loro. Mi dispiace non essere mai riuscita a farmi capire, mi dispiace che la mia aggressione abbia rovinato la tranquillità dei nostri rapporti. Mi dispiace che non riescano ancora a vedere quanto male mi hanno fatto cercando di negare ciò che è successo.
«I tuoi risparmi non ti basteranno, Elena. Non hai nemmeno un lavoro!» esclama mia madre in tono disperato.
«Ce l'ho, un lavoro. Mi posso permettere tutto, affitto, cibo, spese varie. Non avete di che preoccuparvi.»
«Certo che ci preoccupiamo, invece» sentenzia mio padre.
Sbuffo una risata, non riesco a trattenermi dall'assumere un atteggiamento scontroso.
Mia madre, però, stupisce tutti quando mi si avvicina e mi prende tra le braccia. Non dice nulla, emette solo un flebile sospiro, e aspetta che io ricambi.
Non ricordo l'ultima volta che ci siamo abbracciate. A volte dubito di averlo mai fatto. Rimango immobile ancora per qualche istante. Quando la sento scivolare via, lego le braccia attorno a lei, ricambiando l'abbraccio. La sento sorridere sulla mia spalla.
«Volevamo solo sapere se stavi bene» confessa, sciogliendo la stretta, un po' come se si stesse giustificando.
«Sto bene, mamma» rispondo allora, distogliendo lo sguardo. Imbarazzata e impacciata, le chiedo: «Vi va un tè caldo? Poi vi riaccompagno in stazione. Siete venuti in treno, vero?»
«Sì, siamo venuti in treno. Prendiamo volentieri un tè» risponde mia madre.
«E del ragazzo, che ci dici?» chiede mio padre, portando a galla un altro argomento che temevo di affrontare.
«Uhm» preparo le tazze, ma sono solo due, così le lascio ai miei.
«Tu non lo prendi?» chiede prontamente mia madre.
«No, sono a posto» mento, anche se un tè caldo mi farebbe proprio bene.
«Si chiama Ryan?» insiste mio padre. Il completo che indossa si piega per la seduta, e lui continua a stirarsi la camicia con le mani. Conoscendolo, deve avere un freddo assurdo, con solo quello addosso. Il cappotto non gli basta mai.
«Sì, si chiama Ryan» confermo.
«Come vi siete conosciuti?»
«Ehm» rivivo il momento del nostro primo incontro, e quasi mi scappa un sorriso.
«Qua sotto, il primo giorno che sono arrivata» dico poi.
«E da quanto vi frequentate?»
«È un po' complicato, papà. Non so dirti da quando» faccio spallucce e afferro il pacchetto dei biscotti, sbriciolando nuovamente sul tavolo quando ne addento uno.
«Ti tratta bene almeno?»
«Mh-mh. È un bravo ragazzo, anche se non sembra» ammetto. Voglio credere sia così, voglio credere a ciò che ho visto durante i nostri momenti buoni, durante quelle poche volte che si è aperto con me.
Lo so che lo è, penso, masticando un altro biscotto al cioccolato.
«Va bene, Elena. Ora dobbiamo andare, prima che perdiamo il treno.»
Accompagno i miei genitori in stazione, e il nostro saluto è freddo come sempre, non c'è traccia del momento di intimità di prima, tra me e mia madre.
Freddo, ma più tranquillo, mi dico, e penso che forse qualcosa potrà cambiare anche con loro, un giorno.
«Non ti credo.»
«Ti sembra che stia scherzando?»
«No, ma non me la bevo mica. Ho capito che Ryan è un bel pezzo di bad boy, ma che avesse una pistola e che tu sia stata in una stazione di polizia tutta la notte, non me la bevo. E rimane il fatto che sei letteralmente sparita! Almeno ho trovato il fattorino, così ho mangiato sia la mia sia la tua cazzo di pizza.»
«Alice, tesoro» mi siedo accanto a lei e le prendo le mani. I suoi occhioni curiosi luccicano sotto al trucco elaborato. «Non. Ti. Sto. Dicendo. Cazzate. Hai capito?»
«Uhm» fa lei, fingendosi ancora offesa.
«Quindi di chi sarebbe la pistola? No perché, sai, io Mas ce l'ho in stanza. Se non mi dici cazzate, devo iniziare a preoccuparmi.»
«Non credo tu ti debba preoccupare. Ma non credo nemmeno fosse di Ryan, la pistola. Se no, perché gliel'avrebbe ridata prima di dileguarsi?»
Andiamo avanti a parlare di ciò che è successo per tutta la strada verso l'università. Attraversiamo una calle dopo l'altra, ponti a non finire, con il sole che inizia a scaldare piano la nuova giornata. Studenti vanno a gran passo verso le varie sedi, con bricchi di caffè in mano, appunti sotto braccio, libri appena acquistati. I turisti, diminuiti rispetto a quando sono arrivata, i primi di settembre, si aggirano sempre allo stesso modo, con gli occhi che guizzano ogni dove, valigie, risate, parole.
Pede si affretta a salire le scale per arrivare in aula, e occupa i posti in fondo, vicino a Daniele. I jeans e il maglione che il ragazzo indossa gli stanno decisamente bene, e il viso è quello curioso e intrigante di sempre.
«Tutto bene?» mi chiede, con un'espressione strana.
«Sì, tu? Perché mi guardi così?»
Alzo le sopracciglia in attesa di una risposta, ma lui inizia a scambiarsi occhiate divertite con Alice.
«Che c'è?» insisto, iniziando a infastidirmi.
«Sembri più... rilassata, più...» inizia a spiegarmi Daniele, portandosi una mano sul mento e massaggiandoselo teatralmente.
«Rilassata, felice, tranquilla, non ti sei ancora arrabbiata con me...» continua Alice.
Assottiglio lo sguardo, e penso: Che cazzo stanno dicendo?
«Io so come mai» sentenzia Pede, facendo un sorriso storto a Daniele e un occhiolino a me.
«Ah sì? Illuminami» rispondo, agitata.
«Hai fatto sesso!» esclama la mia amica, facendo girare i nostri compagni di corso seduti di fronte a noi. I ragazzi della fila dietro alzano lo sguardo nella nostra direzione, e io vorrei sotterrarmi, mille metri sotto terra.
«Anche fosse, ti pare il caso di urlarlo al mondo?» mi scaldo, cercando di portare la conversazione a un tono di voce ancora più basso.
I miei amici se la ridono sotto ai baffi, e devo ammettere che un sorriso o due scappano anche a me. In qualche modo, le cose sembrano andar bene così, per una volta.

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SOTTO LE PERSONE
RomanceVincitrice premio #Wattys2020 categoria New Adults 🫶🏻 "Una nuova città, una mansarda malconcia, l'università da incominciare e il desiderio di dimostrare al mondo di potersela cavare da sola. È così che ha inizio la vita di Elena a Venezia. Ma tra...