Capitolo 6

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Mi mordicchio le labbra, preda di mille emozioni contrastanti.

Bambina viziata, penso, sentendo di nuovo la voce di Ryan.

Che grandissimo stronzo, aggiungo alla lista dei miei pensieri.

La gente si permette sempre di giudicare, senza nemmeno immaginarsi cosa potrebbe esserci sotto, cosa qualcuno si potrebbe portare appresso giorno dopo giorno, notte dopo notte.

Cerco di non dare fuoco al fastidio enorme che provo per le sue parole, e mi mangio le mani per essermi fatta prendere dal suo comportamento. Quel ragazzo trasuda pericolo da tutti i pori, e la cosa lo rende forse ancora più affascinante di quanto non lo sia già di suo; ma non mi lascerò incastrare, continuerò a tenergli testa. Non sono una bambina, non sono la tizia mezza svestita di ieri, non sono una stupida che si invischia in chissà che giro di persone strane e pericolose.

Ho già abbastanza problemi a cui pensare, mi dico, guardando l'ora.

Mi tuffo nella doccia calda e cerco di essere il più veloce possibile, ho dormito troppo e le cose da fare sono davvero tante. Sento l'acqua sciogliermi i muscoli e la mia immaginazione vagare.

Quando la solita inquietudine inizia a farsi strada dentro di me, chiudo di colpo l'acqua, esco dalla doccia afferrando un asciugamano pallido e corro di là, per aprire la finestra. Respiro profondamente assaporando l'aria salmastra, cercando di evitare la solita crisi.

Le immagini di un uomo grande e grosso compaiono comunque davanti ai miei occhi. Delle mani, dolore. Mi tira, non riesco a liberarmi. Cerco di urlare.

Stringo i pugni finché le unghie non penetrano nei palmi, e quando i solchi bruciano abbastanza mi fermo. È l'unico modo che ho per tornare alla realtà, per non rimanere sotterrata dalla valanga di ricordi che troppo spesso mi annebbia la vista.

Riprendo consapevolezza di dove sono, mi guardo le mani. Sbatto il vetro della finestra come fosse una porta, presa da un colpo di rabbia, e ritorno in bagno.

Dopo essermi asciugata i capelli, indosso dei pantaloni a vita alta, di cotone beige, che mi cadono un po' larghi sulle gambe, e che si chiudono appena sopra delle caviglie con un nastrino dello stesso colore. Mi rendo conto che questo tipo di pantaloni mette in risalto i miei fianchi, ma la cosa non mi dispiace.

Sono stanca di vivere nella paura di dare nell'occhio, penso, infilando una maglietta a maniche corte abbastanza aderente.

Ho bisogno di sentirmi libera di vestire come voglio.

Mi faccio la solita coda alta, rivesto gli occhi del loro solito trucco nero, ed esco.

Sento una porta aprirsi al piano di sotto, e poco dopo incrocio Alice e una ragazza almeno dieci centimetri più alta di lei. Ha i capelli biondi, probabilmente tinti, gli occhi marroni circondati da un ombretto rosato e un rossetto albicocca sulle labbra. Credo abbia l'età di Thomas, e facendo due più due penso: Questa dev'essere Carlotta.

«Che fine hai fatto stamattina?» mi accoglie Pede, dandomi un abbraccio. Sembra aver rimosso l'imbarazzo della sera prima.

«Ho dormito un po' troppo» ammetto, grattandomi il mento. Ometto la visita di Ryan, spero che nessuno di loro lo abbia visto salire, o scendere, dalla mia sottospecie di appartamento.

«La nuova inquilina?» La voce dolciastra della ragazza bionda distoglie la mia attenzione da Alice.

«Sì, piacere, sono Elena.»

«Piacere mio, Carlotta.»

«Dove andate di bello?» cerco di rompere il ghiaccio mentre tutte e tre scendiamo le scale.

«Ho il turno al locale, cazzo che voglia...» sbuffa Pede.

«A che ora stacchi? Magari passo a trovarti» le dico, sperando le possa fare piacere.

«Alle quattro e mezza, ammesso non mi chiedano di rimanere di più come al loro solito» borbotta.

Non capisco se possa farle piacere o meno, il mio andare a trovarla a lavoro, perciò mollo la presa e spero di non essere stata invadente. In fondo, la conosco solo da un giorno.

«Io vado in biblioteca» annuncia Carlotta. «Tu dove sei diretta?» mi sorride con una gentilezza quasi professionale.

«Avrei bisogno di una copisteria, beh... in realtà di un computer, anche. Vorrei consegnare in giro qualche curriculum, ho bisogno di un lavoretto» ammetto. I miei risparmi basteranno per un paio di mesi, non di più. Devo mettermi subito in cerca di un lavoro, se non voglio rimanere a piedi.

«Sei proprio una stronza.» Alice mi tira un pugnetto sulla spalla, come le ho visto fare con Thomas. Rimango a bocca aperta, mentre Carlotta si porta le mani al viso, come se si vergognasse di lei.

«Devi parlarmene di 'ste cose, sorella! Noi stiamo cercando personale, Marco si è licenziato da poco e non abbiamo ancora trovato qualcuno che lo sostituisca» riprende.

«Marco, il coglione di ieri sera?» ridacchio per il modo di fare di Pede, ma il mio tono sembra infastidire Carlotta.

«Esatto» Alice alza gli occhi al cielo al pensiero di quel tizio.

«È un ottimo lavoro, potresti organizzarti i turni in base agli orari delle lezioni» si ammorbidisce Carlotta. «Scusami, è stato Thomas a dirmi che vorresti iniziare l'università. Se sei ancora indecisa sui corsi, posso darti una mano e mostrarti un po' come funziona» prosegue, portandosi i capelli biondi dietro le orecchie.

«Certo, grazie» le sorrido.

Non è così male come pensavo, chissà che difficoltà ha avuto con Alice, mi chiedo, analizzando il comportamento di Carlotta.

«Se poi sei in giro e non sai che fare, mi trovi in biblioteca fino alle sei di stasera. Possiamo cenare insieme, così ci conosciamo un po'» mi saluta, e fa un cenno col capo ad Alice prima di svoltare in uno dei tanti vicoli di Venezia.

Raggiungiamo il locale in cui Alice lavora e una volta entrate mi presenta al responsabile, un ragazzone con l'accento dell'est e i capelli scuri come pece.

«Posso chiamarti solo qualche sera per ora, ci serve personale con esperienza. Con tutta questa gente è difficile» mi dice, l'accento cadenzato.

È molto cortese, ma capisco che non avendo esperienza pregressa nel campo non posso dargli ciò che cerca. I turisti caleranno solo verso novembre, e ora il lavoro è così intenso che non hanno tempo di insegnarmi tutto da capo.

Mi accontento comunque dell'opportunità, male non mi può fare. Continuerò a cercare e intanto mi faccio un po' di esperienza e due soldi.

Ringrazio il responsabile, rimaniamo d'accordo che mi chiamerà magari durante la settimana, quando il flusso di gente non è così massiccio.

«Che fai?» mi chiede Alice, mentre si allaccia un grembiule nero alla vita.

«Cerco dov'è la biblioteca» rispondo, mostrandole le mappe sul mio cellulare.

Alice scoppia a ridere e pare non riuscire a fermarsi. Ridacchio anche io di conseguenza, ma non capisco proprio quale sia il problema.

«Davvero credi di trovare un posto con le mappe? A Venezia?» si asciuga le lacrime che le hanno inumidito gli occhi, a forza di ridere. «Biondina, qua le mappe non funzionano. Ti portano in culo al mondo quando quello che cerchi ce l'hai sotto casa» mi spiega divertita.

Ecco perché sono finita a fare la spesa a Cannaregio. Pareva impossibile che non ci fosse almeno un mini market in zona, penso, sentendomi il viso accaldato.

«E poi, Carlotta mica ti ha detto quale biblioteca. A Dorsoduro ce ne sono un bel po', tesoro» si addolcisce Alice.

Nascondo il viso tra le mani, senza parole.

Alice mi dà un ultimo abbraccio, prima di iniziare il turno. Subito dopo esco dal locale, ritrovandomi di nuovo immersa nelle chiacchiere dei ragazzi seduti sul bordo del canale, nelle voci dei turisti stanchi di fare su e giù dai ponti, negli occhi di Ryan che puntano dritti nei miei, mentre un'altra ragazza gli si avvicina, pronta a strusciarsi su di lui.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora