Capitolo 13

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Dopo aver fatto un'abbondante colazione, raggiungo Carlotta in biblioteca, perdendomi come mio solito tra i vicoli di Venezia.

Mi infilo a testa bassa in un edificio che non promette niente di buono, seguo una flotta di ragazzi che parlano di esami e insegnanti, e rimango stupita dall'interno ben organizzato della biblioteca. Vago tra le tavolate, attraverso la sala computer, e salgo le scale, come mi ha indicato di fare Carlotta.

«Ehi, eccoti!» esclamo appena la vedo, attirando l'attenzione di tutti i ragazzi intenti a studiare.

Cazzo, devo parlare a bassa voce.

Carlotta ridacchia per i mille occhi che mi fissano e mi maledicono, e mi sussurra: «Ciao, Elena, siediti qui». Sposta con molta attenzione il suo zaino, così che possa sedermi di fianco a lei.

Figura di merda della giornata? Fatta.

«Come stai?» le chiedo, mentre mi accomodo.

«Sono presa male con la tesi, ma bene. Tu? Ci hai capito qualcosa, alla fine, del sito?»

«Non molto, a essere sincera. È davvero un casino.» Osservo i suoi lineamenti duri, il trucco ben lavorato, i capelli ordinati dietro le orecchie.

«Thomas mi ha accennato che eri indecisa sull'indirizzo. Volevi fare Lettere?»

«Come dicevo a lui, amo la letteratura, soprattutto quella straniera. E devo dire che non mi dispiacerebbe proprio studiarla in lingua!»

«Beh, allora Lingue potrebbe essere un'ottima scelta.»

Carlotta si dimostra molto gentile, mi spiega come funziona il sito dell'università, mi consiglia come affrontare alcune scelte, mi indica la strada per la cartoleria più economica nelle vicinanze, e andiamo avanti così per un'ora e mezza, a parlare di tutto ciò che riguarda 'la mia nuova avventura', come l'ha definita lei.

All'ora di pranzo, mi chiede di rimanere a mangiare insieme. Mi fa strada verso la mensa universitaria e, dopo aver passato il buffet, che, contro ogni mia aspettativa, sembra davvero invitante, ci sediamo a capo di un tavolo bianco, lungo e largo.

«Come ti trovi nel tuo appartamento?» mi chiede, per far partire di nuovo la conversazione.

Addento un pezzo di pane, e poi rispondo: «Mh, non so se si possa chiamare appartamento». Ridiamo entrambe, anche Carlotta è a conoscenza di quanto sia piccola la mansarda. «Ma per ora mi trovo bene. Thomas e Alice mi hanno accolta con un'atmosfera tutta particolare, il primo giorno. Siete molto disponibili, e non so come ringraziarvi per l'aiuto che mi avete dato fin da subito» aggiungo, sorridente, tralasciando i problemi con il gruppetto sgangherato di Ryan, il fumo, la droga, l'agitazione che ha preso tutti e tre solo il giorno prima.

Thomas, Alice ed io non siamo un trio molto funzionale, probabilmente, ma in qualche modo stiamo trovando un equilibrio. Un equilibrio in cui mi accorgo che Carlotta fatica a entrare.

«Sono entrambi due personaggi, il clima che creano è sempre particolare» ammicca lei, con un'espressione contorta che non riesco bene a capire cosa voglia esprimere.

«Come mai dici che sono due personaggi?» insisto, e mi mangio la lingua per averlo fatto. Dove è finita la mia capacità di isolamento? Fino a una settimana fa non chiedevo mai niente a nessuno, non mi impicciavo negli affari altrui, e me ne rimanevo zitta zitta a farmi i cazzi miei.

«Beh, Thomas è un orso buono, non farebbe male a una mosca. Ha questo modo di fare tutto suo che è un mix di simpatia, ironia, iperprotettività...»

«Sì, ho notato che è molto protettivo» ammetto, divertita.

«Per quanto riguarda Alice, credo sarei un po' di parte» continua lei, abbassando gli occhi. La guardo confusa ed emetto un suono incuriosito per incitarla a continuare, senza invadere troppo il campo.

«Ci siamo messe insieme dopo poco che è arrivata in appartamento» mi racconta, con una tranquillità che maschera una marea di emozioni. «Lei è tanto diversa da me, è stato difficile trovare un punto d'incontro. Alcuni giorni sono stati i migliori della mia vita, altri, quando lei era più... problematica» sospira lievemente prima di continuare a parlare «sono stati tosti.»

«È per questo che vi siete lasciate?» chiedo, il più dolcemente possibile.

«Ho fatto l'errore di sottovalutare i suoi sentimenti, non ho dato credito al nostro rapporto, a quanto potessero essere diventate serie le cose» dice, versandosi dell'acqua.

«Capisco» mormoro, cercando il suo sguardo per mostrarle il mio dispiacere.

«Magari un giorno mi perdonerà e troveremo una nuova armonia» fa spallucce e mi tocca la mano, dimostrandomi la sua positività e la sua speranza di riavvicinarsi ad Alice con un sorriso sincero.

Rientriamo a casa insieme e iniziamo a conoscerci sempre di più. Sembra terapeutico parlare con lei, è sincera nel raccontare le sue esperienze, aperta nella condivisione, e ascolta ogni mia parola con grande attenzione e comprensione. Nonostante questo, però, non mi apro del tutto, rimango molto vaga sul mio passato, mi concentro a parlare di cosa mi piacerebbe fare in futuro, e a chiederle consigli in ambito universitario e lavorativo.

Ed è proprio parlando di lavoro che mi viene in mente il turno di stasera.

Ci mancava che mi dimenticassi che devo lavorare al locale, penso, massaggiandomi una tempia.

Carlotta mi saluta con due baci, di quelli finti che si danno solo per cortesia, e non per altro. Ricambio impacciata, e mi dirigo in mansarda. Mi sistemo, lanciando continue occhiate alla finestra. Mi trattengo per una ventina di minuti, poi crollo miseramente e mi affaccio. I miei occhi puntano direttamente al piano di Ryan e individuano subito la sua, di finestra.

È chiusa, realizzo, con un po' di delusione.

Infilo dei pantaloni neri e una maglietta dello stesso colore, come mi è stato indicato dal responsabile del Bar da Bob, Mate. Mi pettino e tiro indietro i capelli in una coda bassa, lasciando la riga in mezzo, nella mia 'modalità da lavoro'. Quando mi devo concentrare, questa è la mia pettinatura preferita. I capelli non tirano, ho il viso libero, e non c'è pericolo che la coda mi arrivi in faccia se mi muovo in fretta.

Parto con ampio anticipo, per evitare di sbagliare strada, e dopo una ventina di minuti – dopo aver preso comunque il vicolo sbagliato un paio di volte – arrivo al locale, meno ricolmo di gente del solito.

Pede non c'è, e non c'è nemmeno la signora che ho intravisto una volta alla cassa. Mate mi accoglie con il suo solito accento, mi spiega con calma e molto gentilmente le cose più importanti, e io lo seguo mentre serve dei clienti, così da capire come muovermi. La serata procede lenta, il flusso di turisti e ragazzi si fa sempre più carico, e arriva anche Alice.

«Ah, la mia nuova collega! Lavoreremo insieme, non sei felice, dolcezza?» mi strizza una guancia che neanche mia nonna il giorno di Natale, e non posso non sorriderle.

Ripenso alla conversazione avuta con Carlotta poco prima, ma anche a quella con Alice, quando era fatta e cotta sul mio letto.

Possibile che Carlotta l'abbia tradita davvero? mi chiedo, riportando alla mente le parole di Pede.

«Tutto bene?» mi domanda lei, inclinando la testa. L'ombretto violaceo scurisce il colore dei suoi occhi, e le braccia magre, scoperte, mostrano una carnagione olivastra.

«Tutto bene» affermo, mentre sistemo delle scatole.

«Ci prendiamo qualcosa da bere, finito il turno?» propongo, rendendomi conto di essermi già affezionata a questa ragazza piena di energia. In un qualche modo, la sento più vicina di tante altre persone che hanno condiviso parte della mia vita.

«Non devi neanche chiederlo, biondina!» mi fa l'occhiolino, e sparisce in sala per servire i piatti fumanti che tiene sulle braccia.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora