Capitolo 42

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RYAN

È tardi, ma la luce della sua stanza è ancora accesa, penso, nascondendomi nel cappuccio della felpa. Mi confondo tra le ombre della notte e mi avvicino alla mia porta d'ingresso. Cerco di non fare rumore, mentre apro la serratura.

Nessuno deve vedermi, nemmeno Nonna Lavi.

Ondeggio sulle scale ed entro nell'appartamento. Ho bisogno di rivedere alcune foto dell'incidente, più vado avanti a capirci qualcosa, più non si capisce un cazzo. C'è sempre qualcosa che mi sfugge, che non torna, qualche nesso che non quadra.

Accendo la torcia del cellulare, tiro fuori la scatola da sotto il comodino della mia camera da letto, e lei mi viene in mente subito. Mi compaiono davanti le immagini di quella ragazzina spaventata, preoccupata, che indaga sul mio passato, quello da cui ho cercato a tutti i costi di tenerla alla larga. Ma è stata comunque solo colpa mia, avrei dovuto resistere di più.

Il problema con lei è proprio questo: mi manda fuori di testa. E non reggono storie, bugie, cazzate varie per tenerla alla larga, per starmene al mio posto; non regge un cazzo, perché non riesco a togliermela dalla testa. E di certo non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse succedere a me.

Io, innamorato? Pff. Cazzate. Forse me la dovrei solo portare a letto una buona volta, ma qui è il suo, di passato, a rompere le palle. Non le farei mai del male, anche se di mio sono un fottuto egoista. Le uniche persone di cui mi sia mai importato qualcosa sono morte, e ora tengo solo alla Nonna e a quel coglione di Marco, che non mi hanno mai abbandonato. Il resto della gente è solo un'inutile comparsa nella macabra storia della mia vita.

Sbuffo ancora, sfilo la documentazione e le foto che cerco dal plico di carte.

Da quando ha iniziato a importarmi qualcosa di qualcun altro?

Vorrei tornare a quando avevo completamente dimenticato cosa vuol dire stare bene. Con lei qualcosa si è riacceso, e questa è una grandissima rottura di coglioni.

Butto le varie carte sul letto, mi porto le mani ai capelli, e mi strofino il viso.

Ora sono incazzato.

Lascio perdere tutto, mi avvicino alla finestra. Finalmente Elena è andata a dormire, la mansarda non è più illuminata. Apro il vetro sporco per arieggiare un po', questa casa è stata chiusa per diversi giorni e non si respira. Mi accendo una sigaretta, e mi fermo a fissare l'accendino di quella ragazzina. I nostri baci mi tormentano, ne vorrei ancora, e ancora. La sua risata, il suo arrossire, il suo modo di fare da dura. E quanto è bella quando fuma, e viene fuori quella parte di lei fiera e sicura di sé, pronta a reagire e a non farsi mettere più i piedi in testa?

Quella ragazza è un vero casino. Perché, nonostante tutto, le piace che qualcun altro prenda il comando. Le piace essere provocata, le dà quell'adrenalina che non ha mai vissuto, e che attira sempre e comunque. È così, e non c'è altro da aggiungere.

Le piace quando sono io ad accendere il suo fuoco, ed è un'altra cosa che mi fa impazzire.

Basta, basta cazzate. Hai problemi ben più grandi, mi dico, mentre faccio un tiro.

Riporto alla mente tutto ciò che so su mio fratello, sull'incidente, sulla droga. Spacciava nella zona, e a quanto pare aveva raggiunto i piani alti. Era lui a gestire tutto, a detta del Barba. Ci posso credere? Non lo so. Ma ho mandato Thomas con Marco apposta. Thomas non direbbe mai cazzate, ha questa cosa dell'onore e della sincerità a fargli da filtro. Contrariamente a Marco, che in questo periodo non mi convince per nulla.

Alla fine, però, tutto questo non può che confermare i miei sospetti: Alex spacciava, in chissà che modo si è messo nei casini, e qualcuno non lo ha accettato. Quel qualcuno ha provocato l'incidente, forse non si aspettava sarebbero morti per davvero.

Bisogna capire in che cazzo di casini si era cacciato, vado avanti nel mio ragionamento.

Marco si è messo a spacciare subito dopo la sua morte. In realtà lo faceva già da prima, credo, ma non aveva un giro così grosso. Mi ha accennato una volta, sbronzo da capo a piedi, che aveva qualche contatto di mio fratello. Per questo l'ho lasciato fare, l'ho spinto egoisticamente dentro a quel giro, e ora, a quanto pare, si è sostituito del tutto ad Alex.

Perché ci tiene così tanto, però, a portare avanti il giro? Ci siamo tirati fuori dai casini tanti anni fa, ormai. Senza contare che non mi ha mai lasciato avere a che fare direttamente col Barba, o con nessun altro della gentaglia con cui avrei voluto parlare. Ci ha sempre pensato lui, perché io è meglio ne stia fuori, visto che Alex era mio fratello. Questo è stato ciò che mi ha sempre detto, ed è vero alla fine. Tutti sanno chi sono, sarebbe stato impossibile ottenere informazioni con la mia presenza; ma perché Marco sembra riuscirci così bene? Perché lui pare sapere tutto ciò che deve sapere senza tante rogne?

Devo andarci da solo. Non me ne frega più un cazzo, devo andarci io.

Il punto è che non posso andare dal Barba disarmato, e poi non so nemmeno dove cazzo trovarlo. Marco se ne è sempre stato sulle sue per quanto riguarda i luoghi. Se ne è sempre stato sulle sue riguardo a tutto. Gli voglio bene come ne volevo ad Alex, ma inizio davvero a non fidarmi di lui. Non sono stupido, lo vedo che non mi guarda negli occhi, che i suoi discorsi non filano, che le sue balle non sono connesse.

L'unica persona che mi può aiutare è Thomas. Spengo la sigaretta, chiudo la finestra, ed esco. Apro la porta d'ingresso al pian terreno, mentre tiro fuori il cellulare, pronto a scrivere a Thomas. Sento delle voci, ma è già troppo tardi quando riconosco la sua risata.

Elena e Thomas sono esageratamente vicini per i miei gusti. Scherzano, cercando di non fare troppo casino, ma sembrano così dannatamente intimi. So bene cosa prova lui per lei, io stesso gli ho chiesto di starle vicino. Ma non mi sarei mai aspettato avrebbe fatto così male vederli insieme. Deglutisco e mi tiro su il cappuccio. I suoi occhi mi notano, il buio della notte oscura ogni colore, e mi perdo il blu intenso delle sue iridi. Non ho scampo, perciò tanto vale che faccia ciò che devo fare. Mi accendo un'altra sigaretta per scaricare la tensione, cercando di sorvolare sull'accendino.

«Ho bisogno di parlarti» dico secco a Thomas. Sento lo sguardo di Elena su di me, sento il dolore, la voglia, la rabbia. Sento tutto.

Mi concentro sul ragazzo che ho di fronte, mi guarda intristito e non so nemmeno perché. Conosceva Alex più di quanto conoscesse me, gli sto facendo solo un favore ad andare in cerca di chi l'ha ucciso. La giustizia è l'unica cosa che la gente vuole, dopo la morte di qualcuno.

Dopo attimi di silenzio, Thomas mi fa un cenno col capo, e lascia andare il braccio che ha indugiato fin troppo sulla schiena di Elena. Quando Thomas inizia a spostarsi nella mia direzione, la ragazzina interviene, e il suo fuoco brucia ogni parte di me.

«Per quanto ti odi da morire, credo di doverti dire una cosa» le sue parole mi fanno stranamente male. Schiocco la lingua, rimango zitto a fissarla. Dio, quanto mi è mancata.

Mi godo la vista di lei infreddolita, trasandata, con le occhiaie che la rendono ancora più bella. Vedendo che nessuno le risponde, prende un bel respiro e continua: «Ho sentito Marco parlare, l'ultima volta che...» Esita, ma poi taglia corto. «Che ti ho visto. Parlava con la tizia rossa che ti ha accompagnato a quella festa.» Vedo il suo coraggio sfumare, ma le sue iridi ancora mi fissano gelide.

«Dicevano che ti stanno facendo girare in tondo, e sembravano soddisfatti e divertiti della cosa» la sua voce trema, e la consapevolezza che qualcosa con Marco non vada, ora è evidente.

«Grazie» dico, indurendomi in viso per resistere alla voglia incredibile che ho di prenderla tra le mie braccia. «Ora va' a dormire, ché sei distrutta» aggiungo poi, distogliendo lo sguardo.

Thomas le si avvicina, le sistema una ciocca di capelli, e ogni muscolo delle mie braccia diventa rigido come pietra.

Ci metterei due secondi a colpirlo, penso, faticando ad accettare l'amara realtà.

La abbraccia e le sussurra qualcosa all'orecchio.

«Avete finito? Ho una cosa urgente da dirti, Thomas» esordisco, impaziente e infastidito.

Elena mi regala uno sguardo dolorante, noto un lieve rossore sulle sue guance e gli occhi lucidi, prima di rientrare nell'edificio. Fisso la porta per attimi che bruciano come fossi in mezzo a un incendio, e mi risveglio solo alla voce distaccata del ragazzo.

«Che cosa vuoi, Ryan?»

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora