9. Ricordi dolorosi

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N I N A

Il silenzio prese possesso di tutto. Del mio corpo, della mia mente e di tutto l'appartamento. Le parole di Brad furono come delle coltellate profonde, tantoché, mi fu difficile regolare il respiro ormai affannoso che sembrava uscire con fatica. Qualcosa mi fece contorcere lo stomaco. Che fosse disprezzo? Fastidio? Tristezza? Non lo sapevo.

Ero certa solamente del dolore inimmaginabile che stavo provando sul momento, un dolore diverso dalle altre volte, più forte e più profondo.

Il cuore mi implorava pietà e sanguinava più del necessario.

I miei occhi vagavano per tutta la stanza, cercando qualcosa su cui soffermarmi. Il piatto con i biscotti e con accanto il thè caldo, mi fece ricordare di Peter. Presi tutto e andai in salotto con le mie domande che mi trascinai dietro. Sospirai, prima di aprire la porta marrone. Vidi un Peter seduto su un angolo del divano in mezzo alla sala. Se ne stava a guardare le sue mani, mentre le torturava. Si guardava intorno spaesato e fuori posto. Controllò qualcosa sul cellulare e poi scosse la testa, infilando il telefono nella tasca del giubbotto.

"Peter, mi scusi per il ritardo." La mia voce fece eco nella stanza. Peter si accorse della mia presenza e mi guardò, abbassando poi lo sguardo.

"Non si preoccupi."

"Le ho portato dei biscotti." Gli sorrisi.

Mi guardò con un piccolo sorriso in volto, mentre annuì. "Grazie mille." Disse leggermente, con una nota di tristezza.

"Posso darle del tu?" Chiesi, ridendo di poco.

"Si, certo." Rispose. Prese la tazza tra le mani e bevve un sorso di tè, guardando di fronte a sé.

"Posso chiederti una cosa?"

"Sì." Annuì.

"Il tuo sguardo..." Mi allungai per prendere un biscotto al cioccolato. Diedi un'occhiata all'espressione di Peter e mi maledii quando notai nei suoi occhi qualcosa di diverso. "Il tuo sguardo trapela tanto dolore."

"Tutti hanno il dolore dentro. Fa parte di noi." Si giustificò l'uomo dinanzi a me. "Anche i tuoi occhi sembrano tristi." Aggiunse.

Rimasi impietrita davanti a lui e dovette tossire per schiarire la voce e mandare giù la sofferenza. "Non capisco." Sussurrai.

"Le persone più forti sono quelle tormentate dalla sofferenza." Peter appoggiò la tazza di porcellana sopra il tavolino e si girò verso di me. "L'amore fa male. È la causa della maggior parte del dolore nel mondo."

"Perché?" Glielo chiesi senza pensarci, risultando anche maleducata. La mia curiosità aumentò e dovetti frenare la lingua per non fare ulteriori domande.

"Non ci si deve mai fidare delle persone completamente." Controllò l'ora nell'orologio sul polso. "Le persone cercano i tuoi punti deboli e poi ti colpiscono proprio lì, ferendoti a morte. L'amore ti prende e ti toglie il respiro, ma è anche un sentimento che ti riempie la vita."

"Anche a te hanno spezzato il cuore?"

"Me l'hanno distrutto, non spezzato." Mi corresse. "Avevo una moglie, ma neanche un matrimonio ha vita a lungo se non c'è fiducia e sincerità nel rapporto." Rise nervoso, torturandosi le mani. "Era più giovane di qualche anno e magari anche per questo non ha funzionato. Io sono uno che lascia perdere, che non combatte fino in fondo per qualcosa. Per lei ho cercato, ho provato a riconquistarla. Ma non puoi riconquistare un cuore che appartiene già a qualcun'altro."

Il ricordo di mio padre ritornò in me forte e chiaro. Quella donna alta e magra ce l'aveva rubato. Ricordai esattamente tutto di lei. I suoi capelli rossi che le ricadevano morbidi e lunghi sulle spalle, i suoi piccoli occhi marroni e le sue labbra sottili. La sua presenza a casa, anche se avevo solo sei anni all'epoca, non la sopportava nessuno, a parte mio padre che se n'era andato con lei il giorno successivo, lasciando solo un biglietto di scuse sopra il ripiano della cucina.

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