16. L'acqua del peccato

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N  I  N  A

Mentre toglievo la camicia rosa, ripensai all'accaduto. Non avrei saputo dire con certezza il perché di tanta rabbia nei suoi confronti e nè il motivo delle sue continue umiliazioni che mi facevano stare male tanto da voler morire per il dolore.

Non gli avevo fatto nulla e nonostante cercassi di giustificarlo, di autoconvincermi che la colpa fosse solo mia, non potei non ignorare il fastidio che mi diedero le sue accuse e le sue parole.

Un vero uomo non si comportava così e, anche se lo dicevo a me stessa ogni volta, anche se lo descrivevo come una persona apatica ed insensibile, anche dopo ciò, lui mi rimaneva dentro e scombussolava il mio essere.

"Tesoro, sto uscendo fuori con Peter."

La voce di mia madre mi riportò nella realtà ed interruppe i continui pensieri che mi tormentarono l'anima. Sembravano dei coltelli affilati conficcati sulla mia pelle, lacerandola completamente.

"Va bene." Risposi, sorridendo.

Ero felice che mia mamma avesse cominciato ad uscire. Non sapevo cosa ci fosse tra Peter e Susan, mia madre, ma fui contenta di vederla sorridere dopo così tanto tempo. Meritava la felicità che tanto desiderava, meritava l'amore che aveva perduto che non aveva piú ritrovato. Meritava di viversi la vita e anche se una cosa al mio interno iniziò a darmi fastidio, anche se vedere lei col sorriso sulle labbra mentre io stavo morendo lentamente mi fece male, nonostante ciò, desiderai solo il suo bene.

Mi tolsi la maglietta e i jeans, per poi prendere l'accappatoio bianco che riposi sul braccio destro. Nel fare tutto, mi imbarazzai pur non volendolo. Mia mamma era lì che mi stava fissando, attenta ad esaminare ogni dettaglio del mio corpo, per scoprire cose che nemmeno lei immaginava. La vidi camminare verso di me lentamente, mentre la sua bellezza trionfò nella stanza, accecando i miei occhi e il mio cuore distrutto.

"Ti voglio bene, piccola mia." Mi disse.

La guardai e mi accorsi solamente allora di quanto fossimo uguali. Solamente gli occhi ci contraddistinguevano. I suoi erano verdi come il prato in primavera, mentre i miei scuri come il carbone. Fui invidiosa del suo colore, invidiosa di avere qualcosa che appartenesse a mio padre, qualcosa di non suo. Per il resto eravamo davvero identiche. Le labbra carnose incorniciavano quel viso simmetrico e ovale, gli zigomi erano sporgenti, il naso piccolo ma leggermente largo sul dorso.

"Anche io te ne voglio." Risposi, stringendola contro il mio petto coperto solamente dal reggiseno bianco.

"Me ne vado, allora."

Annuii ripetutamente. La vidi uscire dalla stanza e solamente allora sospirai. Mi coprii con l'accappatoio e camminai per il lungo corridoio, trovando i miei pensieri a farmi compagnia.
Non mi chiesi se la porta di casa fosse chiusa a chiave o meno. Non riuscivo a pensare a niente, se non a Brad. Era un fottuto bastardo che si divertiva a giocare con le altre persone. Pensava che tutti fossero manichini che poteva usare quando voleva. Era l'artefice del mio male e della mia delusione. Era una persona vile che si credeva Dio sceso in Terra, convinto di decidere chi dovesse morire e chi dovesse vivere.

Non sapevo cosa provasse davvero per me. Credo pensasse che fossi solo un altro corpo da riempire, bramare e poi divorare. La gente come lui era così, non amava e non apprezzava i sentimenti che gli altri provavano nei loro confronti.
E stavo pensando a lui tutto il tempo, stava con me anche quando non c'era, nella mia testa che si illudeva di cose che non esistevano.
Maledii me stessa. Quell'uomo mi faceva uno strano effetto e bastava il suo nome per farmi impazzire. Non davo un nome al sentimento nascosto nel cuore, non riuscivo ad immaginare che magari l'amore del mio passato fosse sparito così, svanito nel nulla insieme a Josh. Non credevo che un uomo dagli occhi azzurri, col mare tempestoso al suo interno, mi avesse preso il cuore in così poco tempo, me l'avesse rubato per nasconderlo da qualche parte.

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