Capitolo 20

132 11 0
                                    

Tuttavia nemmeno di questa seconda terribile prova fu contenta la dea, la quale, aggrottando le sopracciglia, le disse con un amaro sorriso:

"Anche di questo fatto io so chi è l'autore clandestino. Ma adesso voglio subito sperimentare se tu sei davvero dotato di animo audace e di straordinaria

prudenza. Vedi la cima di quel ripido monte, che sovrasta quella montagna altissima e dirupata? Da quella cima scaturiscono le acque oscure di

una nera sorgente, e raccogliendosi in fondo alla valle vicina, scendono a irrigare la palude Stigia ead alimentare la cupa corrente di Cocito. Tu devi salire fino al punto in cui la sorgente scaturisce freddissima dalla terra e riportarmi questa piccola urna piena di quell'acqua".

Così dicendo le consegnò un piccolo vaso di cristallo lavorato, aggiungendo ancor più tremende parole minacciose.

Yoongi si avviò a rapidi passi per raggiungere la vetta di quel monte, sicura che là avrebbe trovato se non altro la fine della sua travagliata esistenza.

Ma quando giunse nelle vicinanze della cima, subito si accorse della mortale difficoltà dell'impresa.

Infatti una rupe altissima, scoscesa e inaccessibile rovesciava dal mezzo di una spaccatura quell'acqua spaventosa che, penetrando per certi passaggi stretti e angusti, si precipitava fuori per le fenditure e scorreva giù lungo il declivio, cadendo invisibile nella valle vicina.

Accanto ad essa, a destra e a sinistra, le facevano la guardia dei terribili draghi che strisciavano e tendevano il collo negli anfratti della roccia, congli occhi sempre aperti e le pupille eternamente intente alla luce.

Anche le acque, che avevano il dono della parola, cercavano di difendersi da se stesse gridando continuamente:

"Vattene!"

"Che fai?"

"Stai attento!"

"Scappa!"

"Farai una brutta fine!"

Yoongi, pietrificato dinanzi a tante difficoltà, era lì presente col corpo ma incapace di servirsi dei suoi sensi, tanto che, atterrita dalla mole di un'impresa impossibile, era priva perfino di quell'unico sollievo che dà il pianto.

Ma la sventura di quell'anima innocente non sfuggì agli occhi profondi della pietosa Provvidenza.

Infatti l'uccello regale del sommo Giove, l'aquila rapace, comparve all'improvviso ad ali spiegate. Si ricordava dell'antico onore fattole da

Cupido, quando l'aveva scelta per rapire per conto di Giove il coppiere Frigio, e correndo ad aiutare al momento giusto lo sposo di lui che si trovava in mezzo ai guai, quindi volle onorare la potenza del dio. Scese dunque giù dalle regioni celesti per lastrada riservata agli dei, e svolazzando davanti al viso del fanciullo gli disse:

"Quanto sei ingenuo, e ignaro di queste cose! Credi forse di poter non dico rubarne una goccia, ma di poter solo toccare quell'acqua, santissima e tremenda insieme? Non vedi che sei in presenza delle acque temute dagli dei, e perfino dallo stesso Giove? Non hai mai sentito dire che gli dèi giurano per la maestà

dello Stige, come voi per quella degli dei? Dammi dunque questa brocca!".

E così dicendo gliela portò via, stringendola tra gli artigli, e librandosi rapidamente con tutta la larghezza delle sue grandi ali in mezzo alle bocche aperte dei draghi armate di denti acuminati e tra le loro vibranti lingue, attinse l'acqua, che cercava di sottrarsi minacciando e intimandole di andarsene prima di ricevere qualche danno. Ma l'aquila, dicendo che prendeva l'acqua per ordine

di Venere e che proprio a lei doveva portarla, riuscì con quel pretesto ad avvicinarsi con una certa sicurezza.

Amore et PsycheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora