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Il giorno dopo posso permettermi di dormire un po' di più dato che non ho una tabella di marcia vera e propria da dover rispettare. Scendo a fare colazione (che ormai potrebbe chiamarsi anche pranzo) e vedo che non c'è nessuno che conosco, a parte Charles. Questa cosa mi mette un po' a disagio considerando che io e lui non ci siamo quasi mai parlati a quattr'occhi e che oggi staremo un bel po' di tempo insieme, da soli.
Mi siedo ad un tavolo abbastanza distante dal suo e faccio finta di non averlo visto, ma lui improvvisamente si alza e viene verso la mia direzione.
Ah quindi quando ci sono altre persone non ti considera ma se siete solo voi due allora sì? Mi fa notare acida la vocina. Mi dispiace ammetterlo, ma ha ragione.
"Ciao" dice semplicemente quando arriva al mio tavolo.
"Ciao"
"Posso sedermi?" mi chiede indicando un posto.
"Va bene" gli rispondo facendo spallucce.
Proprio in quel momento arriva Matteo e si unisce al nostro tavolo dopo averci guardato con espressione confusa.
"Ciao Emma" mi saluta con un sorriso "E ciao" dice con un cenno della testa a Charles "non ti ho più vista da domenica, come sta andando?"
"Bene bene grazie"
"Andiamo insieme in pista?" mi chiede, rivolgendosi volutamente solo a me.
"Non posso, oggi sono al simulatore con Charles" gli rispondo e noto che appena pronuncio il suo nome Matteo cambia di posto sulla sedia, come se avesse sussultato.
"Già, anzi forse dovremmo andare" si intromette lui da dietro la mia spalla.
Finisco di mangiare e ci alziamo, Matteo non pronuncia altro se non un semplice saluto mentre noi ci allontaniamo.
Appena usciamo dalla mensa mi volto verso Charles: "Non abbiamo nessun orario da rispettare, potevamo fermarci ancora due minuti"
Si gira a guardarmi come se fossi la persona più ingenua del mondo "È vero, ma lui non mi sta molto simpatico" mi confessa.
"Ah sì?" chiedo un po' sorpresa: Matteo mi sembra una persona impossibile da trovare antipatica.
"A pelle" risponde, rimanendo sul vago.

Quando arriviamo ci mettiamo subito all'opera. Mi piace guardarlo guidare al simulatore e scegliere io per lui i vari circuiti su cui allenarsi; ovviamente Edoardo mi ha detto di fargli provare tutti quelli che lo mettono di più in difficoltà. Quando scelgo quello di Montmelò, noto più volte che il dannato cordolo di curva 7 non riesce proprio ad evitarlo e cerco di fargli capire come deve fare, per riuscire poi ad affrontare meglio anche il resto del circuito.
"Dai Charles non è difficile" sbotto alla decima volta in cui fa di nuovo lo stesso errore.
"Allora fammi vedere tu perché io non capisco. Non capisco" sbraita agitandosi sul sedile.
Gli faccio segno di alzarsi e mi siedo al suo posto. Guido molto lentamente per fargli vedere bene la traiettoria e gli spiego dal punto di vista meccanico perché è meglio passare all'interno.
Mi guarda come se stessi parlando arabo. "Sì sì okay, ma l'avrai affrontata ai 50 all'ora, di solito ci arrivo un po' più veloce lì" mi fa notare, sfidandomi con un mezzo sorrisetto.
"Non c'è problema" gli rispondo con un'aria ancora più sarcastica della sua e gli dimostro che la traiettoria che intendo io si può fare anche entrando in curva più velocemente.
Quando mi volto per godermi la sua espressione senza parole, noto che in realtà stava guardando me e non lo schermo. Il suo sguardo non sembra per nulla stupito e sono io quella a rimanere a bocca chiusa alla fine.
Dopo qualche secondo di silenzio si decide a parlare.
"Eri tu la ragazza di sabato ai kart, ora sono sicuro" afferma deciso. "Mi trovavo lì per una compagnia di karting che vorrei aprire il prossimo anno, quando ti ho visto volare in pista. Pensavo fossi uno dei nuovi ragazzi e volevo venirmi a congratulare con te a fine gara. Dio, hai tirato delle staccate da brivido, per non parlare dell'ultimo sorpasso" mi racconta con occhi lucenti "poi però non ero certo fossi tu, il giorno prima ti avevo vista di sfuggita e non volevo intromettermi, eri con il tuo ragazzo".
Rimango colpita dalle sue parole, mai nessuno di competente nelle corse mi aveva dato un parere sul mio stile di guida e sentirlo dire da lui, beh, mi fa piacere.
"Grazie" riesco solo a dire e abbasso subito lo sguardo "lui comunque non è il mio ragazzo" aggiungo dopo un po'. Non si sa mai, sempre meglio specificare.
Alt! Piedi per terra avevamo detto. Ha ragione, piedi saldi a terra.
"Ma allora la Portofino fuori era la tua!" realizzo subito dopo.
"Già" annuisce con fierezza "se vuoi ti porto a fare un giro quando torniamo in Italia"
"Se non prendi il cordolo in curva 7 va bene" gli propongo con un sorriso.
Gli lascio il posto e lui torna ad esercitarsi al simulatore. Non prende più il cordolo d'ora in avanti e mi viene il sospetto che quella di prima fosse una tecnica per vedere come guido. Mi ha fregata e io non me ne sono neanche accorta, sono messa bene.
"Da piccola correvi sui kart?" mi chiede dopo un po'.
"Mi sarebbe piaciuto, ma temevo il giudizio delle mie compagne. Solo pochi anni prima di entrare in università ho capito di aver fatto un errore enorme"
Gli racconto con disinvoltura e, rispetto al giorno in cui l'ho conosciuto, sembra ascoltarmi molto più attentamente.
"È un peccato, ma ti capisco. Anche io avevo tutti i compagni che giocavano a calcio, anche se alla fine ho imparato a fregarmene dei loro giudizi. In questo mi hanno aiutato molto i miei genitori, soprattutto mio padre".
Le sue parole rimangono sospese per aria e tutti e due ci facciamo un po' più tristi pensando a come sono andate le cose nel nostro passato. Non mi aspettavo che avrebbe citato suo padre e non so cosa dire per non sembrare invadente.
Rimaniamo in silenzio per un po', con solo il rumore dei pedali e del motore finto del simulatore in sottofondo, entrambi persi nei nostri pensieri.
Dopo qualche minuto squilla il mio cellulare, è Edoardo che vuole sapere cosa abbiamo fatto e come sta andando. Prima di riattaccare mi ricorda di chiedere a Charles della relazione sul mio stage, di cui, tra l'altro, mi stavo pienamente dimenticando.
Gliene parlo mentre fa gli ultimi giri e lui mi risponde che non c'è alcun problema, anche se abbiamo lavorato poco insieme e sono anni che non scrive un testo che non sia un messaggio.
"Oddio ma sei un analfabeta!" lo prendo in giro.
"Analfabeta certo, ma tanto mi sembra che sia io a decidere per il tuo futuro, quindi ti conviene non fare la furba con me" risponde atteggiandosi con superiorità.
Ridiamo entrambi per la sua scarsa credibilità e insieme ci avviamo in hotel al chiaro di luna.
Durante il tragitto parliamo un po' delle strategie per il giorno dopo ed è carino vedere quanto si sforzi di capire ciò che gli spiego e quanto poco ci riesca.
Quando arriviamo in hotel si offre di accompagnarmi fino alla mia stanza per finire il discorso, che effettivamente concludo quando arriviamo davanti alla porta.
Passano due o tre secondi abbastanza imbarazzanti e poi mi decido a salutarlo, con un semplice: "Ci vediamo domani allora"
Annuisce ma non si allontana dalla porta, rimane fisso lì a dondolare sui piedi.
"Senti" inizia poi, allungando la 'i' per prendere tempo "vorrei chiedere ad Edoardo se posso stare più spesso con te al simulatore" dice infine, guardandomi di nuovo negli occhi.
Il mio cuore fa una capriola a quel contatto visivo e sento come la prima volta in cui l'ha fatto, tutti i campanellini di allarme suonare all'impazzata nella mia testa.
"Mi farebbe piacere" riesco a rispondergli, e per quanto ci provi a rimanere impassibile, non posso non accompagnare le mie parole con un sorriso.
Anche lui però incurva le labbra spontaneamente e indugio qualche millisecondo di troppo su questo particolare.
La mia vocina emette qualche colpo di tosse per farsi notare.
"Allora buonanotte" concludo, risvegliata dal mio stato di trance.
"A domani" risponde, mentre mi chiudo la porta alle spalle.
Ascolto i suoi passi e quando sono certa che se ne sia andato prendo un lungo respiro; per quanto mi dispiaccia dirlo, non posso lasciarmi ammaliare dal suo bel faccino. Mi sono ripromessa di mantenere un basso profilo ed è quello che farò. È meglio così.

Portofino | Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora