01. L'inizio

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«Buongiorno fiorellino» disse una voce dolce a pochi centimetri di distanza dal letto di Kal.
«Smettila di chiamarmi così» rispose lui arrabbiandosi un poco.
La sorella maggiore del ragazzo sapeva perfettamente che odiava quando lo chiamava in quel modo, ma puntualmente gli dava il buongiorno con quella frase.
Che odio.

«E perché mai dovrei smetterla? Tu sei un fiorellino delicato» continuò a stuzzicarlo lei.
Oramai il ragazzo avrebbe dovuto avere una certa abitudine a quelle provocazioni ma la sorella aveva ragione, lui era un fiorellino delicato e lo sapeva benissimo.
Tante volte suo padre aveva provato a farlo iscrivere in palestra, trovando però il completo dissenso del figlio.
Non fraintendetelo, per Kal sarebbe stato un sogno potersi fare qualche muscolo in più.
Il problema era più... la compagnia, ecco.

Suo padre era un poliziotto e in quanto tale aveva libero accesso alla palestra della caserma, così come i familiari registrati.
E sarebbe altrettanto fantastico potersi allenare in presenza di meravigliosa carne fresca, sudata e piena di muscoli.

Ma fu qui che nacque il problema, la prima volta che mise piede in quel posto.
Il ragazzo e la sua famiglia abitavano in una città relativamente piccola, che non necessitava di così tanti poliziotti per essere tenuta sotto controllo, per questo motivo c'era pochissima richiesta di personale e così pochi cadetti giovani nel corpo di polizia.

Diciamo pure che la composizione del personale non era poi così giovane, anzi era proprio stagionata.
Il collega più giovane che il padre gli aveva fatto conoscere aveva si e no quarant'anni.
Quindi ecco, grazie, ma anche no.

«Comunque, mamma ha detto di scendere, la colazione è pronta» continuò la ragazza avvicinandosi furtiva e tirando una ciocca di capelli del più giovane.
«Ti odio, Yennefer!» le urlò dietro mentre scappava saltellando come una gazzella spaventata.

Poi la sveglia iniziò a suonare come ogni mattina.
«Va bene, ho capito, mi alzò» borbottò esasperato lanciando via le coperte con un gesto della mano.
Poi si mise seduto e fermandosi un attimo a guardare le gambe, si soffermò proprio sulla cicatrice che aveva in fondo alla gamba destra.
Non era un segno molto grande e ormai era anche parecchio sbiadito, ma era lì, sempre presente.
Da almeno due anni.

Riprendendosi dai suoi pensieri il ragazzo si alzò dal letto con un saltello, indossò le sue pantofole a forma di unicorno e si diresse verso il suo bagno personale per darsi una sistemata strategica ai capelli sempre in disordine, sembrava vivessero di vita propria.

Datosi una bella lavata, il ragazzo si diresse verso il suo armadio, alla ricerca di vestiti puliti e che non fossero tanto datati da farlo sembrare ancora più sfigato di quanto già non fosse.
Sfortunatamente per lui, aveva raggiunto la sua altezza massima, un metro e settantatré, verso i quindici anni, circa.
Inoltre la sua attitudine a mantenere le sue cose personali in buono stato, avevano convinto la madre a non rinnovargli spesso il guardaroba.

Insomma, detto in parole povere, aveva bisogno di vestiti nuovi.
Scegliendo finalmente dei jeans neri, una t-shirt bianca e una vecchia felpa anch'essa nera, si guardò nello specchio che aveva dietro la porta.
"Quanto meno faccio pendant con i capelli" si disse, guardando la prevalenza di nero nel suo abbigliamento.
Partendo dalle scarpe nere con la suola bianca fino ai capelli.
Le uniche cose a fare contrasto in tutto quel nero, erano: la t-shirt bianca, gli occhi verdi e la pelle pallida costellata da tanti piccoli nei.

"Bene, iniziamo anche questa giornata di mer..." e con quel bellissimo pensiero in testa, scese le scale due a due per fare colazione.

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