| Glances |

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La mia vita oscilla costantemente tra dolore e noia. Dolore, fin troppo a dire la verità, quando si tratta di portare avanti la mansione affidatami da Luke ormai nove mesi fa. Noia, quando mi capita di assistere senza la benché minima attenzione alle noiose lezioni universitarie, ora giunte quasi al loro termine, in previsione della sempre più vicina sessione estiva degli esami.

Giro e rigiro sulla mia forchetta qualche spaghetto scotto immerso in un mare di odioso pesto all'arrabbiata. Non so spiegarmi il motivo che mi ha condotta alla mensa, nè il perchè io abbia anche solo abbracciato l'idea di sedermi e di mangiare: non ho fame e l'odore di cibo che aleggia nell'aria mi provoca solo una forte nausea.

Mi guardo attorno: studenti seduti in modo disordinato lungo i tavoli rettangolari hanno la testa china su un libro e mentre con le mani affondano di tanto in tanto le forchette lucenti nel piatto a loro adiacente. Alcuni ridono e scherzano facendo qualche battuta di poco gusto su un professore o sulla patetica figura di qualche loro compagno di corso.

Sono già passati cinque mesi da quando Ashton se n'è andato, cinque mesi in cui ho imparato a sopravvivere senza vivere davvero. Perché più osservo questi ragazzi e più mi sento estranea, più ascolto le loro parole e più i suoni mi paiono distanti ed ovattati.
Che io sia già per metà uno spettro?
No impossibile, non era scritto nelle condizioni del contratto che ho firmato.
È solo una mia impressione, ma è cosi forte da farmi sentire fuori luogo dovunque io sia, qualunque cosa io stia facendo.

Dovrei mettercela tutta per fare del mio meglio ed avvicinarmi così alla tanto bramata 'vittoria' di quell'assurda scommessa che mi ha portata alla pazzia, distruggendomi pian piano, che mi ha corrosa giorno dopo giorno, che mi ha danneggiata per sempre, credo.

E invece mi ritrovo ancora una volta qui, a giochicchiare indisturbata con la pasta che sembra non volere scomparire dal mio piatto concedendomi solamente di prendere tra le mani il bicchiere di plastica alla destra del tavolo e di sorseggiare la bevanda marrone che è contenuta al suo interno.

-Dovresti mangiare Abigal-

-E tu dovresti smetterla di dirmi quello che devo fare-

Osservo il ragazzo dai capelli color grano prendere posto in mensa con un vassoio completamente vuoto, vuoto perché lui non sente ormai da tempo il bisogno fisico di mangiare. Probabilmente è venuto qui solo per controllarmi, per starmi dietro come se avessi bisogno delle sue attenzioni, come se si sentisse in dovere di farmi da balia, adesso che Ashton non c'è più.

Un pò mi sento in colpa per come l'ho aggredito, perché sono consapevole del fatto che non ci sia nulla di malvagio in ciò che mi ha detto di fare. Eppure gli ho risposto malamente e senza pensarci troppo a dire la verità.

E' come se in questi mesi tutto ciò che di cattivo c'era in Luke si fosse trasferito su di me. Come se, dopo la nostra ultima conversazione, dopo avermi rivelato la sua storia, la parte 'malvagia' della sua anima ora abitasse dentro di me.
Come se io fossi diventata ciò che ho sempre cercato di distruggere, di odiare con tutta me stessa.

Ed è una strana sensazione, la detesto proprio in effetti e non avrei mai voluto rispondergli così, ma non posso tornare indietro e rimangiarmi ciò che avevo appena urlato.
Perciò faccio l'unica cosa che mi sembra giusta da fare.
Chiedo scusa.

-Mi spiace- mormoro con un filo di voce, ovviamente non ricevendo alcuna risposta da parte sua.

-Finisci di mangiare Abigal, non vorrai mica morire di stenti-

Potrebbe essere un'idea, in effetti. Lasciarsi morire.

Tanto, cosa avrei da perdere che non ho ancora perso?

Death's game » l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora