| Punch |

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Le mie mani si stringono attorno alla ringhiera metallica di una delle tre spaziose balconate che circondano il quinto piano dell'ospedale della città mentre una forte sensazione di vomito si fa spazio nel mio stomaco. Immagini e parole scorrono davanti ai miei occhi stanchi, ora persi a fissare senza un motivo preciso la punta in gomma delle mie converse.

Vengo distratta e scossa dai pensieri in cui stavo cercando di affogare da svariati minuti ormai solo quando pesanti molecole di nicotina penetrano delle mie narici, facendomi quasi soffocare.

Io e Luke non avevamo più parlato da quella notte alla casa di riposo.

Io non ne avevo avuto le forze nonostante fossero praticamente infinite le domande che avrei voluto porgli e che mi ronzavano continuamente in testa durante le mie lunghe notti insonni; lui più probabilmente pensava di non avere nulla da dirmi o, più semplicemente, non aveva voglia di tornare a parlare di ciò che era successo o di quel poco che ero riuscita a scoprire sulla sua storia.

Eppure Luke c'era sempre, che lo volessi o meno. Era diventato una presenza costante nella mia vita che rimaneva perennemente appesa ad un filo, aggrappata a quella folle e flebile speranza di riuscire a sconfiggere la morte.

Sollevo lo sguardo in cerca di un appiglio che riesco ancora una volta a trovare solo scrutando gli occhi celesti del mio angelo nero ora seduto sopra la ringhiera, con le gambe a penzoloni e quella dannata sigaretta stretta tra le labbra.

-Ti preoccupi per lui- proferiscono le sue labbra all'improvviso, e non mi è concesso capire se la sua frase nasconda una domanda o sia semplicemente un'affermazione.

-Come scusa?-

-Sei preoccupata per Ashton non è cosi?- mormora, specificando la frase di poco prima, mentre dell'altro fumo grigio viene lentamente espulso dalla sua bocca, ora aperta a forma di 'O'.

Chiudo gli occhi senza proferire parola, lasciando impotente che ancora quelle immagini mi piombino addosso come una cascata, portandomi a stringere ancor più saldamente quella ringhiera, nel debole tentativo di riuscire a plasmare il metallo con la sola forza delle mani.

Ashton mi aveva dato appuntamento in biblioteca non appena fossero terminate le lezioni della mattina perchè aveva bisogno di consegnarmi dei documenti da inserire nella ricerca di chimica che stavamo portando avanti ormai da settimane. Avevo quindi preso posto, come al solito, nell'ultimo banco in fondo all'immenso salone, e lì avevo atteso che arrivasse per più di mezz'ora, fino a quando Luke non si era presentato al posto suo ordinandomi di seguirlo.

Ovviamente non sapevo dove mi stesse portando, ma potevo immaginarlo con chiarezza. E le mie supposizioni si erano rivelate esatte quando, di fronte a miei occhi, si era presentato in tutta la sua grandezza l'immenso ospedale della città. Mi ricordo di aver sospirato profondamente e di aver mandato ad Ashton un messaggio di scuse per non essermi potuta trattenere più a lungo in biblioteca, convinta che lui mi stesse cercando proprio li.

Al contrario però di ciò che pensavo, Luke aveva intrecciato la mia mano nella sua per condurmi non all'interno dell'ospedale, bensì verso il pronto soccorso.

E solo lì avevo capito che qualcosa non andava, solo lì lo avevo riconosciuto.

La bandana verde militare sporca di sangue, le nocche arrossate, la guancia destra gonfia e violacea. Ashton era proprio lì, davanti ai miei occhi, straiato su un lettino, una smorfia di dolore perennemente stampata sul volto. Avevo portato una mano sulle labbra per cercare di non mettermi ad urlare o peggio, scoppiare in lacrime, prima di sentire la mano di Luke appoggiarsi sulla mia spalla.

Death's game » l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora