Benvenute a Seoul, pt.1

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Sono già trascorse tre ore dal nostro arrivo, abbastanza burrascoso, a Seoul.

Adesso siamo in hotel tutte assieme, in quella che, per i prossimi due giorni e fino a nuovo avviso, sarà la nostra casa. Nonostante l'accoglienza e la spaziosità, non possiamo permetterci di rimanere qui per tutta l'estate. La nostra camera, che ha il pavimento rivestito da un lucido parquet e le pareti dipinte di un chiaro beige, ricoperte, all'altezza di un metro, da alcuni pannelli in legno, è ariosa e soleggiata. Appena varcata la soglia, mosse dalla curiosità, ci siamo fiondate a scostare le tende color indaco calate sui finestroni traslucidi della stanza, ritrovandoci col fiato mozzato: l'altezza dell'edificio offre una delle migliori viste di Seoul, essendo l'hotel ubicato nel cuore del quartiere Gangnam, fra grattacieli dalle innumerevoli vetrate e schermi giganti, sui quali si susseguono rapidi spot pubblicitari e volti celebri. Solo dopo esserci guardate bene attorno ed essere uscite sul balcone privato della suite, abbiamo depositato i nostri trolley sul parquet, due per ciascuna: in tutto, sei bagagli occupano il pavimento, alcuni aperti ai piedi dei letti, altri in piedi sulle rotelle, ancora chiusi con tanto di lucchettino e combinazione numerica.

Le mie due coinquiline, le mie amiche di sempre, mi hanno accompagnata in questo folle viaggio...all'incirca quattordici ore di volo. Al solo ripensarci, la pelle d'oca mi assale. Non avrei mai creduto di ritornare qui, dopo un anno, senza i miei genitori, in compagnia solo delle mie più care amiche. Ho quasi vent'anni, caspita: dopo intensi mesi di studi ed esami a manetta assieme alle mie compagne, meritavo un viaggio tutto mio e, avendo ricevuto dai miei totale libertà sulla scelta, la capitale della Corea del Sud ha premuto su qualsiasi altra meta. Non di certo perché qui c'è qualcuno ad aspettarmi, macché...qualcuno che, per l'ultima volta, ho visto l'anno scorso, di questi tempi, ma che, a dispetto della notevole lontananza, ho sentito fino a ieri per telefono, quando gli ho fermamente dichiarato di essere a letto, costretta al riposo assoluto per via di una persistente influenza e di aver terminato i minuti per telefonare. In realtà, ero tutta emozionata in aeroporto, in attesa di partire. Fremo dalla voglia di vedere la sua reazione, quando gli comunicherò, fra qualche ora, che lo aspetto davanti all'O-Cloud Hotel, il luogo che ci ospita. Immagino sarà al settimo cielo il mio amico d'infanzia, Kim Taehyung. Sì...quel Kim Taehyung. O meglio, V. Proprio lui, non sto vaneggiando. La star del K-Pop, membro dei Bangtan Boys.

Spesso mi capita di pensare, come adesso sto facendo, con gli occhi stanchi puntati verso il soffitto, a come le cose sarebbero potute andare se, anziché lasciare Daegu, la mia città natale, e trasferirmi in Italia dieci anni fa (allora, Tae aveva dodici anni, mentre io solo dieci), fossi rimasta in Corea. Avrei trascorso le mie intere giornate con lui, saremmo cresciuti realmente assieme, l'avrei accompagnato al provino presso la Big Hit, avremmo frequentato le stesse scuole superiori a Seoul, perché quasi per certo l'avrei seguito lì, avrei preso parte dal vivo alle gioie, alle soddisfazioni del diventare una star, ai suoi periodi bui, avrei conosciuto da subito i suoi amici, Jimin, Jungkook, Namjoon, Yoongi, Hoseok, Seokjin...e tutto il resto. Non è niente di irrimediabile, mi ripeto sempre, per farmi forza. Quando gli paleso il mio malumore, lui non fa altro che sostenere che il vederci per un mese, solo una volta all'anno, abbia contribuito al consolidamento del nostro legame. A tenerci tanto uniti è il mancarci, la continua voglia di vederci, sentirci, parlare delle nostre giornate, confessare l'un l'altro vari stati d'animo che movimentano i nostri rapporti con gli altri. Adattarsi al notevole fuso orario si è rivelato complicato, i primi tempi. Immaginate com'è avere una persona tanto speciale dall'altra parte del mondo, sentirla solo in videochiamata e poco, perché una star di fama mondiale, seguire i suoi concerti tramite video, perché mai arrivati in Italia. Non è semplice. Non fraintendetemi, potrebbe sembrare, ma nulla di sentimentale mi lega a quella peste di Tatae. Solo un profondo rapporto di amicizia. Non potremmo mai stare insieme, in quel senso.

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