QUATTORDICI

314 13 1
                                    


Cesare


«Hai tutta la mia attenzione», dichiarò standomi davanti, in piedi. Il suo corpo mi sovrastava e io provai ad allungare una mano verso la sua ma lei la scostò.

«Puoi sederti vicino a me? Per favore?», l'implorai e dopo aver fatto vagare lo sguardo per l'intera stanza mi accontentò. Tirai un sospiro di sollievo quando, allungando la mia mano verso la sua non la ritrasse.

La guardai negli occhi e presi coraggio. Era arrivato il momento che più temevo. Era arrivato il tempo di rivelare il mio passato.

«Cinque anni fa, tra i miei genitori le cose non andavano molto bene. Papà non c'era mai e mamma... lei era sempre assente», poi, notando lo sguardo confuso di Camilla, aggiunsi: «Mentalmente assente. Anche se era con noi, con la mente era altrove. Era entrata in uno stato depressivo, allora non lo capii immediatamente, vedevo solo la mamma piangere sempre e bisticciare con papà quando non era al lavoro. I gemelli non si sono mai accorti di nulla visto che le loro liti avvenivano sempre nel "privato", ma io... ero sempre stato quello più attaccato alla mamma ed ero riuscito a intravedere un cambiamento in lei. Capii la gravità della cosa nel momento in cui decise di trasferirsi nella stanza accanto alla mia, la tua stanza.»

«Credevo fosse il suo studio e che fosse andata lì durante la malattia», disse fissandomi sempre più confusa.

Scossi la testa. «No... lei aveva cambiato stanza dopo che aveva scoperto che mio padre aveva una relazione con un'altra donna.»

Sbarrò gli occhi. «Oddio... ti prego dimmi che non era mia madre...»

«No, non era Francesca... era una donna sposata, abitava anche lei a Cusano con i figli e il marito. Avevano una vita normale, erano una famiglia normale, almeno fino a quando il marito non ha scoperto della relazione della moglie e l'ha uccisa», confessai e Camilla si portò entrambe le mani alla bocca.

«E tuo padre?», chiese passandosi nervosamente una mano tra i capelli lunghi.

 «Poco prima dell'assassinio, mio padre aveva chiuso con lei. Aveva saputo che mia mamma aveva il cancro e... diciamo che non voleva infierire oltre», mormorai secco.

«Oddio Cece, non ho davvero parole», dichiarò stringendomi forte la mano. «Questo in che modo...?»

Quella stretta mi diede il coraggio di continuare.

«In che modo c'entra con me? Il figlio maggiore della coppia aveva diciassette anni all'epoca. Ne uscì devastato, finì in una casa famiglia e non ne ho saputo più nulla fino a quando, tre anni fa, non mi ha rintracciato.»

«Perché tu?»

«Perché non ho fatto nulla per impedirlo...»

«Cesare, eri solo un bambino, non avresti mai potuto fare nulla», provò a consolarmi accarezzandomi la schiena.

Scossi la testa portandola tra le mani. «Ti sbagli. Ho fatto molto di più... Non c'è giorno che io mi svegli senza pregare che tutto questo sia un incubo. Vorrei solo che gli errori di mio padre non dovessero pesare sulla mia vita per sempre.»

«Non dire così.»

«Ma è così, sarà sempre così, Camilla. È proprio questo quello che vuole. Lui vuole vendetta, è lo scopo della sua vita. Tre anni fa me l'ha giurato. Lui non si sarebbe dato pace fino a quando io non avrei sofferto nello stesso modo in cui ha sofferto lui, perdendo la persona che amo di più... te.»

Osservai il suo volto imprimersi di lacrime. «Camilla ho dovuto rompere con te per proteggerti perché preferisco soffrire piuttosto che saperti in pericolo.»

Prese entrambe le mie guance tra e sue mani e poi mi diede un sonoro schiaffo. «Sei uno stupido! Ma come diavolo ti è venuto in mente di lasciarmi, eh? Per che cosa poi? Per colpa di un pazzo? Questo è peggio rispetto all'ipotesi della presa in giro perché non hai avuto abbastanza fiducia in noi, anzi mi correggo, in me! Avresti potuto spiegarmi e non trattarmi di merda come invece hai preferito fare!»

Scossi la testa. «No Camilla, tu non capisci. Qui non stiamo parlando di fiducia, ma di aver a che fare con le persone sbagliate!», puntualizzai. Ci alzammo entrambi.

«Cesare guardami negli occhi e dimmi chi ti minaccia, chi ci sta facendo questo!», esclamò. «Puoi fidarti di me.»

Espirai tutta l'aria dai polmoni, sconfitto. «Lascia perdere, non avrei dovuto dirti nulla.»Feci per aprire la porta quando la sua domanda mi paralizzò.

«E' uno di loro, non è vero?»

I nostri occhi s'incrociarono e lei poté leggere tutta la mia disperazione. Mi appoggiai al legno solido della porta svuotando totalmente i polmoni dall'aria che li riempiva. Lo sguardo fisso sul pavimento mentre annuivo.

«Chi di loro?», insistette e io cedetti.

«Il suo nome è Eros... si fa chiamare Discordia. L'hai già incontrato. È alto coi capelli castani e gli occhi azzurri.»

Camilla sbatté più volte le ciglia poi chiuse forte gli occhi come a ripristinare l'immagine che le avevo appena descritto.

«Immagino che avendo un QI sopra alla media non dovrei farti questa domanda, ma per una volta voglio essere stupida quindi te la farò lo stesso», esordì poi mi si parò davanti. «I Quattro Cavalieri non sono una "gang" rivale di un'altra scuola, vero?»

A questo punto perché mentire?

«No, non lo sono», ammisi. «Quella è la versione creata da me e Ottavio per giustificare il loro "odio" nei nostri confronti. Tre anni fa si sono presentati davanti a scuola per minacciarmi. Non eravamo soli così ci siamo inventati questa farsa per poter giustificare il loro astio con i compagni di scuola.»

«Posso capire "Discordia", ma perché gli altri?»

Scossi la testa. «Non lo so cosa vogliono gli altri da noi, ma sicuramente nulla di buono. So solo che tre anni fa quando Eros è venuto a parlare con me c'erano tutti e tutti mi stavano osservando attentamente. Non conosco gli altri, non so quale sia il loro passato e se questo è implicato con la mia famiglia o se sono solo amici suoi. Non ne ho idea.»

Mi avvicinai a lei. «Dal primo momento in cui ti ho visto ho provato a starti alla larga, inutilmente. Sono debole Camilla, non sono stato in grado di proteggerti. Se non avessi da subito ceduto alla mia passione e al mio amore per te tutto questo non sarebbe accaduto, ma non ce l'ho fatta», dissi spostandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio. «La colpa non è tua, è solo mia. Loro ti hanno notata perché sei importante per me», sottolineai. «Ho dovuto rompere con te per il tuo bene.»

 Camilla si premette forte la mia mano sulla sua guancia prima si scostarla dal suo corpo. «Ti ringrazio per la tua onestà, ma ora... ho bisogno di andare a dormire... devo digerire questa cosa», mormorò a disagio.

«Camilla», la richiamai fermandola sulla porta.

«Lo so, le cose non torneranno mai come prima, vero? Come potrebbero? Forse ci sta facendo un favore, forse siamo come la benzina con il fuoco noi due, non ne esce mai nulla di buono», disse e dopo di che sparì nella sua stanza lasciandomi di nuovo solo.

Non era vero. Lei era la sola cosa buona nella mia vita.

L'errore più bello che potessi fare.

E' sempre bello averti intorno (THE ROSSI'S SERIES 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora