VENTISETTE

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Cesare

Seduto sul mio materasso, ripensai al passato. Una parte di me era in collera con mio padre perché aveva distrutto la nostra famiglia e una parte di me lo era con mia madre perché non aveva avuto il coraggio e la forza per lottare. Il cancro le aveva solamente dato il colpo di grazia ma lei aveva perso la sua battaglia molto tempo prima. Non aveva avuto la forza di lottare per noi, per i suoi figli, per la sua famiglia. Aveva preferito arrendersi e per un attimo mi domandai se non fossimo più simili di quanto pensassi. Anche io per un breve attimo avevo mollato.

 No, non eravamo simili perché io avevo lottato per Camilla, per il nostro amore. Io ero più forte di lei. Mamma mi mancava, ogni giorno di più. Avrei voluto averla lì, poter parlare con lei della ragazza che mi aveva rapito il cuore. Poi realizzai una cosa: se mamma fosse stata viva, se fossimo stati una famiglia, probabilmente non avrei mai conosciuto Camilla.

Sentii bussare alla porta e mi ridestai dai miei cupi pensieri. «Avanti.»

Mio papà entrò nella stanza sorprendendomi. Generalmente gli unici momenti passati assieme erano quelli durante la cena perché era sempre impegnato col lavoro o con la sua nuova compagna. Non ero geloso di Francesca, o meglio, non più però mi mancava papà. Tolsi gli auricolari spenti dalle orecchie e gli feci cenno di entrare.

«Come ti senti? Sei nervoso?», domandò appoggiandosi alla mia scrivania.

Fissai il tappeto sotto i miei piedi dove il borsone da basket mi accarezzava le caviglie. «Mentirei sei ti dicessi che va tutto bene. Ammetto che sono agitato.»

«E' naturale, è la finale di campionato!»

Alzai lo sguardo incrociando il suo. «Tu come fai a saperlo?»

Mio padre incrociò le braccia al petto. «Camilla mi ha detto che oggi avresti avuto la tua ultima partita», confidò. «Anche le ultime volte hai giocato bene, davvero, ma stasera devi spaccare, capito?»

Scossi la testa. «Come fai a dirlo? Manco c'eri», sussurrai.

Fu allora che mi passò il suo tablet. Selezionò il play e la mia ultima partita riempì l'intero schermo. «Come...»

«Camilla ha filmato le tue partite e quelle dei gemelli. Non voleva che me ne perdessi nemmeno una», spiegò. «Ma stasera non le servirà perché ci sarò anche io.»

Sbarrai gli occhi. «Davvero?»

Annuì. «Mi dispiace per come sono andate le cose tra di noi, mi dispiace di averti scaricato addosso un peso enorme. Mi dispiace per tutto. Per non essere riuscito a darti la vita che meritavi, la famiglia che meritavi. Dovevo essere io a proteggere te e non viceversa», disse sedendosi sul materasso affianco a me. «Amavo tua madre, ma le cose tra di noi non funzionavano più. Ho sbagliato a cedere alla passione, ora lo so. So che ho fatto una marea di cazzate nella mia vita, ma avere te e i tuoi fratelli come figli è la cosa migliore che potessi fare. Scambierei tutti i soldi del mondo, tutto il lavoro per poter tornare ad essere il papà che voi chiamavate eroe.»

Chiusi gli occhi per evitare di piangere.

«Spero solo che potrai mai perdonarmi.»

«L'ho già fatto», sussurrai e lui mi mise una mano sulla spalla, abbracciandomi. «Papà, io... ti voglio bene.»

«Anche io te ne voglio Cece.»



Il rumore dei sassolini che scricchiolavano sotto le mie scarpe mi faceva uno strano effetto. Il vento si era alzato e mi soffiava in faccia, scostandomi i capelli dalla fronte. Molte cose sarebbero cambiate d'ora in avanti. La squadra contava su di me, la mia famiglia contava su di me. Camilla contava su di me. Entrai nello spogliatoio sentendomi gli sguardi dei miei compagni sulla schiena.

E' sempre bello averti intorno (THE ROSSI'S SERIES 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora