Non è detto

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Cristian POV

La prima volta che sono venuto a Roma per partecipare ai provini di Amici, in realtà non credevo di entrare. È stata un'azione fatta d'impulso. Giusto per provarci.
"Non è detto che vada male" continuavo a ripetermi. "Non è detto neanche che vada bene". Touché.
C'erano file chilometriche di ragazzi e ragazze con la propria chitarra e il proprio sogno che aspettavano solo di avere un'occasione.
E poi c'ero io, che nel taschino della giacca portavo una polaroid e sotto braccio il computer con le basi. Che poi magari non aveva neanche senso portarsi dietro un computer in questa situazione.

Adesso sono disteso sul letto di una camera di hotel della quale non ricordo neanche il numero. Ma quel computer è ancora qui con me. E oltre alle tre canzoni abbozzate che avevo quel giorno al provino, ce ne sono altre cinque. Ma questa volta non sono solo chitarra e voce e qualche batteria montata a caso giusto per vedere se avevano un senso. Questa volta sono canzoni vere.
Otto tracce.
Il mio primo disco.
In realtà il mio primo EP. Fa lo stesso.

È una settimana che sono fuori dal programma. Eliminato ad un passo dalla Finale. C'è un po' di rammarico, non lo nego. Sono una persona che quando inizia una cosa, cerca di finirla ad ogni costo.
Stavolta è andata diversamente.
Non ho rimpianti e né provo rabbia. Le gioie e le emozioni che questo percorso mi ha fatto provare valgono più di tutto il resto.
Il mio primo album ha avuto un riscontro con il pubblico che mai avrei creduto possibile. Quando Maria ci ha comunicato le posizioni su ITunes non potevo crederci. Ero secondo.

Il momento più difficile non è stato quando ho visto che la maglia oro della Finale non aveva impresso il mio volto sopra. È stato quando ho guardato negli occhi la persona che avevo affianco in quel momento.
Gaia.
Tutte le volte che parlavamo in hotel ci immaginavamo insieme davanti alle carte finali. Abbracciati, euforici, pazzi di gioia. Immaginavo le gambe che tremavano, gli occhi che piano piano si riempivano di lacrime dopo tutto quello che avevamo accumulato nei mesi. L'urlo finale del vincitore. La coppa alzata in alto. Ma non le mie mani che la tenevano.
L'ho capito dal primo giorno in cui l'ho sentita cantare Chega. Da quando abbiamo iniziato a parlare, a conoscerci, a scoprirci. Da quando restavamo a fumare alle due di notte. Da quando la accompagnavo alla sua stanza e mi salutava dicendo qualche parola in portoghese.
Quella coppa era sempre stata sua.

Quando ci siamo guardati negli occhi, aspettando che quella maglia scendesse, vedevo la preoccupazione e la paura nei suoi. Eravamo distanti in quel momento, dovevamo esserlo per le disposizioni del Governo. E avrei voluto solo abbracciarla, dirle che andava tutto bene. Che comunque fosse andata, io stavo bene.
Quando ha visto che la maglia era la sua non era sollevata. Sapevo che avrebbe reagito così. Si sentiva in colpa.
Ma io ero felice. Forse troppo per uno che era stato appena eliminato. Ma il mio sogno si stava già realizzando. Bastava solo questo.
Tornato in casetta, tempo di fare la valigia che già dovevo andarmene. Avrei voluto parlare con tutti i ragazzi rimasti, fare discorsi strappalacrime, abbracciarli. Dirgli che avrei tifato per ognuno di loro, che ci saremmo visti fuori al più presto.
E invece c'è stato solo il tempo di un "Vi voglio bene, siete davvero bravissimi", e tempo di un abbraccio fulmineo per uno.
Quando ho abbracciato Gaia il mondo si è fermato per un momento. Sentivo le sue lacrime bagnarmi la maglia. Le sue mani che la stringevano forte, fino quasi a strapparla. Sentivo il suo cuore che batteva all'impazzata. Come il mio.
Ci siamo guardati negli occhi. Più del dovuto. Ma era necessario. Avrei voluto dirle tante di quelle cose. Mi sono però limitato a sussurrarle "Stai tranquilla. Vai a vincere Ga". Si è messa a ridere e mi ha risposto "Ci proverò. Sai che sono l'eterna seconda".
Allontanandomi verso la porta, mi sono voltato e le ho detto con tono fermo e convinto "Non è detto. È tua Ga".

E così è stato.

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