strange as it may seem, I still hope for the best

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A De, perché non c'è mai stato e ci sarà per me nessuno più importante di te

Amsterdam, 1648

Un lieve knock sulla porta di quercia, leggero come una piuma. Una voce di donna, toni alti che sugli acuti rendevano più evidente una leggera cadenza dialettale, limata da anni di servizio presso una famiglia rispettabile.

-Signorino? Signorino, suo padre la manda a chiamare. E arrivato il segretario del signor van de Lijn, ha notizie riguardo la Compagnia ed è stata richiesta la sua presenza-.

Il ragazzo seduto sul davanzale della finestra riemerse dai suoi pensieri e battè rapidamente le palpebre, sorpreso dal brusco risveglio. –Di loro che sto arrivando, Marjie-. Si sistemò il colletto sospirando e il suo sguardo si posò sulla scrivania, dove facevano bella mostra del loro disordine alcuni fogli bianchi, un calamaio pieno per metà ed una piuma che stillava ancora inchiostro. Evidentemente il suo romanzo avrebbe dovuto aspettare ancora un po' per vedere la luce in maniera completa.

Nel salone di Rappresentanza, quello dove suo padre accoglieva gli ospiti più influenti, non un singolo gingillo si trovava fuori posto. Il caminetto, pulito quella mattina, faceva da contorno ad un fuoco che ardeva vivace. Le tende pesanti erano state aperte per permettere alla luce naturale di illuminare a dovere la stanza, il pavimento scintillava tanto efficientemente era stato lucidato, i tappeti pregiati non avevano nemmeno una piega, i cuscini sui divanetti erano stati sprimacciati in maniera impeccabile, e i due uomini seduti al tavolo con le pipe accese e il portacenere in bronzo in mezzo a loro completavano alla perfezione il quadro.

-Ah, Yeonjun, eccoti- lo accolse quello seduto a capotavola, un uomo sui quarantacinque anni con la fronte che presentava le prime rughe, pochi fili grigi che gli decoravano le tempie e i suoi stessi occhi scuri. –Ti ricorderai del signor De Boer, naturalmente-.

Non era una domanda, ma un'aspettativa che lui doveva rispettare e soddisfare, come sempre. Suo padre prendeva molto sul serio il suo futuro ingresso nella Compagnia, e pretendeva da lui altrettanta serietà, nonostante non fosse esattamente in quella direzione che i suoi interessi viravano. –Ovviamente.- annuì lui, e il loro ospite, un ometto che aveva esattamente l'aspetto che un segretario nella mente di Yeonjun doveva avere -piccoli occhietti acquosi, lenti spesse su un naso aquilino, stivali pesanti che tradivano la lontananza da un panno per lucidare da almeno un paio di giorni, un pesante mantello di lana e le dita grigie d'inchiostro- annuì: -È un piacere rivederla, signorino Choi. Apprendo con gioia della sua decisione di succedere a suo padre nella gestione-.

Yeonjun rispose con un sorriso distante e un inchino educato, appena accennato. Odiava quelle frasi di circostanza, pronunciate con quell'untuosa cortesia solo perché suo padre era uno degli otto delegati fissi della Camera di Amsterdam che facevano parte dell'assemblea che sceglieva i direttori della Compagnia e lui, nell'occhio dell'opinione pubblica, ne avrebbe ereditato potere e influenza. Se quell'uomo avesse saputo qualcosa delle sue vere passioni e inclinazioni, se avesse saputo quanto amava scrivere, dipingere e disegnare, e quanto invece odiava sedersi alla sua scrivania d'acero e far di conto, non lo avrebbe guardato con quello sguardo di palese aspettativa. –E un piacere ed un onore per me rendermi utile all'interno della Compagnia delle Indie orientali. Ed è per questo che mi avete mandato a chiamare, padre, giusto?-

L'uomo lo guardava con una luce strana negli occhi. Yeonjun non era mai stato granchè ad interpretare i voleri di suo padre, ma in quel momento avvertì una strana sensazione: quella storia non sarebbe andata certo a finire bene. –Proprio così, Yeonjun. Vedi, il signor De Boer ci porta la notizia di una ribellione indigena a Formosa. Nulla che possa danneggiare in maniera seria i nostri affari in Oriente, ma alcuni commercianti che ci hanno accordato la loro fiducia per quanto riguarda le loro merci hanno bisogno di essere... Rassicurati, per così dire. Per questo motivo, io e la Compagnia vorremmo che tu ti recassi da loro, seguendo una lista che ti sarà fornita a breve, e illustrassi i piani futuri della Compagnia, spiegando che non verranno in alcun modo intralciati. È tutto chiaro?-.

Certo che era tutto chiaro, pensò Yeonjun, prestando attenzione affinchè non una stilla del suo disappunto trapelasse, e adombrasse lo sguardo apparentemente sereno di suo padre. A giudicare dalla posizione tronfia, e dalla presenza stessa di De Boer, segretario del Governatore generale della Compagnia, a quel tavolo, era chiaro che si aspettavano che la sua risposta sarebbe stata sì.

E avevano ragione.

-Ne sarei lieto, padre-.

I due uomini sorrisero, lospite si alzò dalla sua seduta. –Constatata di persona la disponibilità e il desiderio di darsi da fare di suo figlio, signor Choi, posso dirle che ha davvero un degno erede. Il signor Van de Lijn ne sarà più che lieto. Mi congedo, riferirò che la faccenda è in mani sicure-.

Quando l'uomo se ne fu andato, sulla sala calò un gelo tale che anche la luce che passava dalle finestre all'improvviso sembrò più fredda.

-Dunque? Dove mi manderete?- Yeonjun cercò davvero di parlare come se fosse mosso da genuine curiosità e entusiasmo, e non da una profonda stizza. E naturalmente, il suo timido dissenso non passò inosservato.

-Non parlare in questo modo, Yeonjun- il tono di voce del padre era calmo, ma glaciale. –E un'occasione per intraprendere un viaggio ed entrare in contatto con culture diverse dalla tua. Il mercato che ti attende con più impazienza è quello inglese, e mi dicono che magari fare una visita alla Compagnia inglese potrebbe solo giovarti, e smorzare questa testardaggine giovanile. Hai ventun'anni, ormai, figlio- aggiunse, la voce impercettibilmente ammorbidita –è ora che tu metta la testa a posto. Che sia dedicandoti al lavoro, o mettendo su famiglia-.

-Non osereste.- il ragazzo diventò pallido come un cencio lavato in pochi attimi. Non poteva, non poteva imporgli di sposarsi. Non quando le sue inclinazioni erano ben note all'interno e al di fuori della loro casa, non quando aveva respinto ogni giovane spasimante che il padre gli aveva proposto. Quella parte di sé, della quale aveva imparato a non vergognarsi leggendo gli antichi classici, era l'unica cosa su cui era sempre stato esplicito e manifesto, e suo padre, pur non condividendo il fatto in sé, aveva sempre mostrato di apprezzare questa sua risolutezza, almeno in questo, quando in tutti gli altri aspetti della sua vita aveva imparato ad annuire e chinare la testa per non creare ulteriori problemi. E cosa credeva di fare ora, ponendolo di fronte a condizioni così meschine?

-Tu dici? Eppure De Vries, il banchiere, ha una graziosa figlia chiamata Lucienne, che, si mormora nei salotti, non vede lora di conoscerti. Negheresti ad una signora un capriccio così facilmente appagabile?-.

-Mi state ricattando, padre?-

-Non ti sto ricattando, Yeonjun. Se così fosse, non ti starei dando una scelta, non ti pare?-.

In piedi davanti a quell'uomo, che immobile lo guardava rapace, il sopracciglio alzato con l'espressione di chi la sa lunga, il ragazzo seppe che non l'avrebbe avuta vinta. Nemmeno questa volta.

-Quando dovrei partire?-.

-Bravo ragazzo- commentò luomo, alzandosi in piedi per posargli una pacca leggera sulla spalla. –tra tre settimane al massimo. Il viaggio non sarà particolarmente lungo, ma occorre che tu parta il prima possibile. Ma tu sei già pronto, non è vero?-.

Yeonjun piegò la testa, il labbro inferiore tremante e i pugni serrati. –Sì, padre-.


darling, dearest, dead - yeonbin.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora