Francesco, Silvia, Asia

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Iniziammo a correre verso quella figura accasciata.
Avevo il cuore in gola e non sapevo bene cosa stessi provando.

All'inizio pensai che quello a terra fosse semplicemente Will, che si fosse sentito male.
Lo sperai per lui, per un attimo, perché se la situazione fosse stata anche solo lontanamente simile a quella che il mio cervello stava immaginando probabilmente sarebbe morto quella sera stessa.

A lei dovevo molto pur non dovendole assolutamente nulla.
Col tempo ci eravamo scambiati numerose amicizie, tra cui quella con Dave.
Mi aveva anche avvicinato pian piano al gruppo nel quale conobbi quello che poi sarebbe diventato il mio ragazzo.

Era venuta al mio diploma, e io al suo.

Avevamo recitato insieme a teatro, giocato insieme a palla, passato insieme le estati, vissuto periodi belli e periodi brutti.

Figuriamoci, mi aveva conosciuto quando ancora mi ritenevo etero.

Il mio cervello andò in autoprotezione.
Anna era una ragazza forte! Sicuramente non era lì. Non le poteva essere accaduto nulla di male.
Voglio dire, lei era... LEI.

Poi però, avvicinandoci, intravidi un braccio uscire da sotto il corpo immobile di quello che ormai davo per scontato essere Will.

Il mio sguardo cadde su quell'arto e sperai fino alla fine di non trovare ciò che purtroppo vidi: un tatuaggio, tre lettere.
Era il suo braccio.

I primi ad arrivare furono Dave e Tom.
Si fiondarono su Will e cercarono di sollevarlo, seppur con molta difficoltà essendo a peso morto.
Silvia andò ad aiutarli e per poco non mi venne un conato di vomito nel vedere che aveva i pantaloni calati.

Mentre i tre cercavano di spostare il corpo di colui che non mi sentivo neanche più di chiamare uomo, io e Asia ci occupammo di tirare via Anna.

Ciò che vidi fu tutto fuorché rincuorante: la mia amica aveva il vestito alzato e si stava muovendo spasmodicamente mentre dall'angolo della bocca le usciva quello che dall'odore sembrava vomito.
Aveva gli occhi semiaperti, ma non sembrava vederci.

Asia si portò entrambe le mani alla bocca mentre delle lacrime iniziavarono a rigarle il viso. Gli altri tre iniziarono ad avvicinarsi a noi con preoccupazione.
Io mi affrettai a metterla su un fianco e a coprirla quanto più possibile mentre anche Silvia sembrava essere sul punto di iniziare a piangere.

Per fortuna non restarono fermi e si avvicinarono per venire ad aiutarmi.
Eravamo in cinque, tutti lì per lei.
Chi le batteva sulla schiena, chi le teneva i capelli, chi cercava di tenerla ferma per bloccare gli spasmi...

Non appena questi cessarono e il vomito non Smise di uscire, io la presi in braccio mentre Tom si affrettava ad aprire la porta e a guidarmi in casa.

Tutti ci seguirono e, arrivati in camera da letto, la poggiammo sul grande materasso presente nella stanza, premurandoci di metterla su un fianco circondandola di cuscini.

Restammo lì, in silenzio, a guardarla.

Che situazione surreale.
Non mi ero neanche accorto che nel frattempo le si erano chiusi gli occhi.

Il silenzio era tale che probabilmente l'unico rumore che si sentiva era quello confortante del suo respiro.

Dio mio, la sola idea che sarebbe potuta morire se non l'avessimo trovata in tempo mi fece stringere i pugni e le labbra.
Non l'avrebbe passata liscia.

Lo avrei ucciso.

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«Serve che qualcuno mi aiuti a prendere Will per portarlo dentro, poi chiamerò un medico e Scotland Yard
Tom fu il primo a rompere il silenzio che si era creato in quella stanza, mentre io restavo seduta in un angolo a fissare la mia amica cercando di trattenere le lacrime che ormai mi pizzicavano gli occhi.

When He Became MineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora