Capitolo 13

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 Vittorio era al volante della sua BMW e si stava dirigendo in ufficio con un umore più nero della mezzanotte. Aveva appena finito di discutere con il figlio, anzi, più che discutere, di litigare con il figlio. Quel ragazzo aveva la testa dura come il marmo, possibile che non capiva che si stava giocando il futuro? Era così terribile per lui iscriversi alla facoltà di giurisprudenza e aspirare ad un lavoro concreto e ben avviato?

No! Quel deficiente voleva iscriversi alla facoltà di storia!

Che schifo!

Il suo unico figlio uno storico, puah!

Quali possibilità avrebbe avuto nel mondo del lavoro? Cosa avrebbe fatto una volta laureato?

Il disoccupato, ecco cosa avrebbe fatto!

Che disonore, che umiliazione!

Già immaginava i commenti della gente: "Il figlio dell'avvocato Ferro, del superlativo avvocato Ferro" si corresse "Un fallito!".

Ecco cosa prevedeva per suo figlio: un fallimento completo.

Svoltò all'incrocio e si fermò al semaforo rosso.

In quei pochi, interminabili, minuti i suoi pensieri viaggiavano alla velocità della luce.

In che cosa aveva sbagliato con lui? Pensò, ripartendo quando scattò il verde.

Gli aveva sempre dato tutto, tutto!

Eppure non era bastato.

Ah, quanto avrebbe voluto che ci fosse stata Antonella, lei sì che avrebbe saputo cosa fare, Antonella sarebbe stata l'unica in grado di convincerlo a non compiere quel terribile sbaglio.

Vittorio amava suo figlio così come ancora amava sua moglie. Dopo cinque anni non l'aveva dimenticata e non l'aveva mai tradita.

Nessun'altra avrebbe potuto sostituirla.

Il periodo successivo alla sua morte era stato un inferno, non riusciva a trovare pace, a rassegnarsi per quella perdita ingiusta e improvvisa. Non aveva voglia di fare niente, non riusciva a parlare neanche con Riccardo che lo fissava sull'uscio della stanza con quegli occhi così simili a quelli della madre.

Non riusciva a guardare negli occhi suo figlio perché ci vedeva lei dentro.

Pian piano si era ripreso e aveva deciso di buttarsi a capofitto nel lavoro, ma purtroppo il rapporto con Riccardo si era raffreddato fino a quando non lo aveva completamente perso.

E lui non si era accorto di niente, fino al momento in cui non lo avevano chiamato da scuola perché aveva picchiato un compagno di classe.

Già lì avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa che non andava, che Riccardo non era più lo stesso ragazzo di prima, ma si era limitato a risolvere la faccenda cercando di salvarlo dal riformatorio. La seconda stangata era arrivata quando Riccardo aveva scelto quella scuola di basso ordine e aveva iniziato a frequentare quei teppisti dei suoi amici. Intanto andava male a scuola e passava le notti in giro a fare casino. Poi, qualche mese prima, aveva ricevuto un'altra denuncia da un tizio che accusava Riccardo di avergli rotto il naso con un pugno. Quando Vittorio gli aveva chiesto la ragione di quel gesto Riccardo si era limitato a tacere.

Parcheggiò l'auto davanti all'alto palazzo che ospitava una serie di uffici, tra cui anche il suo.

Adesso era più calmo e anche più lucido.

Aveva sbagliato tutto con suo figlio, lo aveva inconsapevolmente abbandonato nella disperazione proprio nel momento in cui il ragazzo aveva più bisogno di qualcuno che lo guidasse e quando si era reso conto dell'errore aveva cercato di rimediare attraverso il denaro.

I tuoi occhi mi fanno impazzireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora