Capitolo 13.- L'incubo del Rhiel

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Lilieth era in piedi sul tetto di un palazzo ed osservava dall'alto una città sconosciuta che si estendeva ai suoi piedi, dipanandosi dolcemente fin dove poteva spingere lo sguardo; milioni di minuscole luci scintillavano nel buio e luccicavano riflettendosi sulle acque placide di un fiume che scorreva attraverso gli edifici, elegante e sinuoso come un nastro argentato. Il ragazzo avvertiva sul viso l'aria umida e fredda della notte, il vento portava fin lassù sprazzi di voci che conversavano allegre nelle strade decine di metri più in basso e il suono delle auto che sfrecciavano; c'era odore di polvere e asfalto bagnato. Lilieth spostò lo sguardo dalla città sotto di lui alle sue propaggini, perse nel buio in lontananza: nuvole nere si addensavano all'orizzonte, cancellando le poche stelle visibili nel cielo indaco; un tuono ruppe il silenzio relativo in cui era avvolto, coprendo le voci lontane degli umani laggiù nella città.

Fu sorpreso di due cose: sapeva che quelli che passeggiavano per le strade illuminate da lampioni erano umani senza averli neppure visti e sapeva di conoscere il nome di quella città luminosa nella notte, anche se non aveva idea di quale fosse in quel momento; come quando si è certi di avere una parola sulla punta della lingua, ma essa continua a sfuggirci e si nasconde nella nostra memoria sempre di più se si insiste a cercarla. Lilieth aggrottò le ciglia, lasciandosi scivolare addosso quella bizzarra sensazione di familiarità:  la città di cui non ricordava il nome, il cielo che veniva oscurato dalle nubi minacciose, il profumo elettrico dell'aria ferma ed umida che precedeva il temporale, il vociare confuso degli umani che stavano affrettandosi a rincasare mentre i tuoni diventano più forti. Un lampo squarciò il cielo e Lilieth scorse il colore minaccioso delle nuvole.

Il temporale sarebbe scoppiato presto...E lui sapeva che stava per accadere qualcosa, qualcosa di sbagliato e terribile; sapeva che se ne sarebbe dovuto andare, che sarebbe dovuto scappare dalla cima di quell'edificio, ma non ci riusciva. Lui doveva stare lì, di questo era sicuro. Lui doveva restare dove era, non importava quali conseguenze terribili avrebbe pagato...

Abbassò di nuovo gli occhi sulla città mentre le prime gocce di piogge cadevano leggere, picchiettando contro il tetto di ardesia su cui si trovava; i passanti iniziarono a correre, lanciando piccole grida di protesta contro il cielo, come se servisse a qualcosa: Lilieth non aveva mai capito perchè gli umani imputassero il loro dolore ad altri che a se stessi. Quando uno si taglia la mano non può dare la colpa al coltello: la colpa è sua; se si mette a piovere e tu non hai un ombrello, non è colpa delle nuvole, ma tua.

La colpa delle nostre azioni ci appartiene sempre, fino in fondo e lui lo sapeva...allora perchè provava tanta pena nel vederli affannati che cercavano un riparo? Perchè sentiva quel nodo al petto? La risposta arrivò immediata da un angolo del suo cervello che non conosceva: perchè non l'avrebbe mai più rivista dopo quella notte; stavano arrivando, stavano venendolo a prendere e non ci sarebbe stata una seconda occasione di dire addio alla sua amata, piccola Umana. Non c'era via di scampo.

Avvertì un nodo in gola e sentì le lacrime pungerli gli occhi: si sentiva come un condannato che attenda il boia impaziente di farla finita e un po' seccato dell'attesa; Lilieth sentì che sarebbe dovuto scappare da quel palazzo, da quella città, che si sarebbe dovuto gettare nel fiume che scorreva tumultuoso agitato dal temporale, ma invece rimase impassibile, sotto quella pioggia sferzante che gli gelava le ossa, pregando che la fine arrivasse presto.

Fu allora che si rese conto di non poter controllare il suo corpo. Era uno spettatore immobile di ciò che gli stava accadendo attorno: non poteva muovere le braccia, la gambe non obbedivano ai suoi ordini...era del tutto paralizzato. E quella sensazione bizzarra persisteva: lui era già stato su quel palazzo, aveva già visto quel temporale, aveva già guardato i battelli sulla Senna agitata dal vento, con il riflesso delle luci che oscillava sull'acqua...

Sangue impuro.- Equilibrio spezzatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora