CAPITOLO 1: LA BAIA

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Un forte vento da Est soffiava nel buio della notte, e le acque intorno a Comet Island rumoreggiavano per via degli urti incessanti tra le onde e la scogliera. In mezzo a quella baraonda, un losco individuo, vestito di bende logore e cappuccio, avanzava a fatica fra le raffiche d'aria, accompagnato da uno stridio che a mala pena echeggiava tra gli ululati del vento.

Aveva in braccio una creatura di poco più pesante dell'ascia che pendeva al suo fianco: era un bambino, fasciato da altrettante bende come il suo portatore, messe per parare i suoi fragili occhietti dalla burrasca. Giunse dinanzi a un cancello di legno, inciso ai lati superiori da una scritta in vernice bianca: "La Baia".

Bussò forte per invitare qualcuno a farsi avanti e fu pochi attimi dopo che il pesante portone si aprì e comparve la figura di un giovane uomo con indosso un'elegante vestaglia e un cappello da notte; portava addirittura le pantofole e una lanterna fra le mani. L'uomo bendato consegnò il bambino al giovane ancora scosso, poi svanì in fretta e silenzio, nel buio da cui era comparso, lasciando il giovane ad urlare al nulla: «EHI TU! Mi serve un identificativo per accettare la consegna!». Si rivelarono, però, grida inutili, poiché l'uomo era già oltre la portata della sua voce.

Il giovane, l'umile Pickub Wes, non degnò la creatura di uno sguardo finché non si trovò davanti al caldo focolare del capanno in legno e paglia, al centro dell'isolotto.

«Accidenti a quel pazzo» borbottò con le palpebre pesanti: «Beh, qualcosa la devo pur scrivere, piccolo. Vediamo cos'hai qui, eh?» disse con una vocina scherzosa a cui il bimbo ridacchiò.

Sulle fasce del piccoletto vi era poggiato un oggetto, che attirò immediatamente l'attenzione di Pickub. Un bagliore argenteo si era, infatti, riflesso sulla penna con cui l'uomo si accinse a compilare il modulo di consegna. Non appena vi posò lo sguardo, scorse una catenina argentata da cui pendeva un anello in platino con due stelle comete impresse sul metallo prezioso. Quel gioiello attrasse molto l'impacciato sorvegliante, cosa che lo spinse a prenderlo fra le mani, ma quando lo fece, il piccolo sembrò soffrirne e cominciò a piangere. Temendo di svegliare gli altri inquilini, lo ripose frettolosamente sulle fasce e continuò a compilare il modulo.

«Venerdì 26 Febbraio 2049, ore 1:04. Colore occhi: grigi; età: direi tre, quattro mesi... ma sì, tre mesi».

Mentre compilava il foglio con tutte le informazioni e le generalità fisiche, ricominciò a cercare informazioni sul nuovo arrivato fra le bende che lo coprivano.

Ed ecco un biglietto, con impresso nient'altro che una parola: "Hunter".

«Mmm... Direi che per lo meno ti abbiamo trovato un nome, Hunter. Ed è anche un bel nome» ripeteva sorridendo al bambino: «Peccato che a dartelo sia stato un pazzo, non è vero piccolino?» continuò con un tono sempre più ridicolo e scherzoso, quello che si usa quando si parla a un cucciolo o un bambino.

E questo di fatto era, un bambino. Un bambino molto speciale. Quella notte sarebbe proseguita tra le violente raffiche notturne del vento.

Ed altre fredde notti seguirono i giorni caldi, e i cicli stagionali trascorsero per ben tredici volte da quella notte.

La storia di Hunter sarebbe iniziata proprio su quella stessa spiaggia, in una di quelle calde mattine estive; in una particolarmente calda.

Splendeva un sole cocente quel lunedì mattina e le preoccupazioni che potevano tormentare la mente di Hunter, erano ben poche.

Aveva avuto un'infanzia serena in compagnia di volti che aveva visto lasciare la Baia, anno dopo anno, in quei tredici che vi aveva trascorso. Ben pochi, però, avevano significato qualcosa nella sua permanenza lì.

(SM1) Skymoon - le lame perduteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora