CAPITOLO 16: L'UNIFICATORE

3 0 0
                                    

C'era il sole. C'era un caldo sole nel cielo, ovunque guardassero gli occhi grigi, brillanti a contatto con la luce, più di tanti altri. Ma Hunter non sapeva dove puntarli nella stanza in cui si trovava, su un comodo letto. Era attaccato alla parete che affacciava a una finestra larga, dove c'era troppa luce per poter focalizzare immagini, appena sveglio. Alzò il busto dal letto, portando una mano alla fronte, sforzandosi di ricordare; aveva un mal di testa tremendo.

"Dove mi trovo?" pensò incuriosito, quasi divertito a riflettere su quante volte si era fatto quella stessa domanda in pochi giorni. La luce rimbombava nella stanza ben arredata con un guardaroba, un comodino a fianco al letto, e un tappeto che riempiva il pavimento. Hunter osservò il disegno centrale del tappeto: una stella a otto punte che ne conteneva una, il tutto rigidamente nero. Era buffo come il tappeto riempisse tutto il pavimento e come il disegno riempisse tutto il tappeto a sua volta. Quella stella era al centro di tutto, eppure Hunter era convinto di conoscerlo, o per lo meno di averlo già visto da qualche parte. Si toccò il petto, notando che era vestito di una tunica grigia fresca e comoda. Si alzò lentamente, alquanto confuso. Appena fuori dal letto, si fermò un istante a esaminare la stanza: "Però!" pensò tra sé e sé. Non era niente male per quello cui era stato abituato alla Baia. Con aria rilassata, il suo occhio finì per caso sulla finestra, al che osservò fuori dalla stanza un panorama mozzafiato: colossali tronchi, per rivelarsi solo alti pini, i più alti che avesse mai visto. Persino da dove si trovava lui, a diversi metri di altezza sopra il suolo che vedeva lontanamente, quegli alberi sembravano comunque poter sfiorare le nuvole. Premette le mani sul vetro come un bambino sul finestrino di un'auto. Doveva essere in mezzo ad un bosco, i cui alberi parevano ergersi per decine e decine di metri sopra di lui. Corse via dal letto e a un passo dalla porta, con la mano sul pomello, si ricordò di essere in pigiama. Guardò l'armadio al lato opposto della stanza e lo aprì: era abbastanza grande da entrarci dentro: vi trovò i suoi jeans con una cintura nera dalla fibbia grigia luccicante col simbolo del tappeto; c'erano anche le scarpe nere e rosse con la maglietta e la felpa. Eppure, erano come se non avessero mai visto battaglia: stirati, morbidi, puliti, addirittura profumati. Sorrise e li prese uno ad uno, indossandoli. Si allacciò le scarpe e si specchiò sulla porta interna del guardaroba. Ma nello specchio vide qualcos'altro: il riflesso di un luccichio che lo attirò. Si voltò dietro, sul comodino a fianco al letto e si avvicinò. Era quel piccolo gioiello tondeggiante con due comete grigie impresse, quell'insolito anello brillante. Lo prese in mano e un atroce dubbio lo assalì: «L'avevo dato a Zeira... perché è qui? Che sta succedendo?» continuava a ripetersi sottovoce, pensieroso. Prese la catenina e la appese al collo, scrutandola con serietà e preoccupazione. Un attimo dopo, la porta della stanza batté tre volte.

«Avanti» disse Hunter, al che la porta si aprì, silenziosa: comparve una donna familiare agli occhi di molti, ma non ai suoi. Aveva indosso una camicia bianca e degli eleganti pantaloni beige in pelle. Lei lo guardò, sorridente, mentre lui, come fosse una semplice sconosciuta: «Ciao» disse lei, prendendo Hunter di sorpresa: «Ehm... ci conosciamo?»

«Tu non sai chi sono io, di certo non chiederesti» rispose con dolcezza.

«Ma di che parlate?» Hunter aveva la testa per aria.

«Hai dormito per due giorni, Hunter» disse la donna, mentre il ragazzo la ascoltava, spaesato: «Due giorni? Ma non ha senso, dove siamo? Chi sei tu? Che è successo con Nethora?» disse, sconclusionato, al che la donna sospirò: «Per ora, posso solo risponderti a una sola domanda: il mio nome è Brandy, tanto piacere» disse, tendendo la mano al ragazzo: «Hunter» rispose stringendole la mano, senza riuscire a ricambiare con un sorriso. Non sapeva ancora se quanto poteva permetterselo. Ricordava una situazione fin troppo drammatica per farlo.

«Hunter, ti prego di seguirmi. Avrai risposte a tutte le tue domande» disse, facendo per uscire dalla stanza.

«Me l'hanno già detto troppe volte, perché ci creda ancora» bisbigliò tra sé e sé, al che seguì Brandy, in gran fretta. Magari questa volta era tutto vero, più che una frase a effetto. Appena varcata la porta, si trovò davanti a un corridoio: ne aveva la nausea, ripensando a Blackbihotz. Se non altro aleggiava il profumo di pini, anzi che il fetore degli orchi. Hunter vide costantemente guardie corazzate stanziate a una distanza fissa, l'una dall'altra, come misurata di guardia in guardia. Sulle pareti di pietra, svolazzavano bandiere ornate da quel simbolo stellare e a metà del corridoio monotono, notò una scalinata, dove svoltò la donna. La seguì senza dire una parola; si limitava a guardarsi intorno: «Hai detto che ho dormito due giorni... e i miei amici?»

(SM1) Skymoon - le lame perduteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora