Capitolo 10

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Oggi sono uscita di casa abbastanza in anticipo non avendo voglia di incontrare Carla in casa dopo quello che è successo ieri.

Sono molto nervosa a causa di ciò che mi hanno detto. È vero, non sto bene in questo periodo, ma vorrei che almeno prima di fare qualcosa che mi riguardi ne parlassero con me, non a cose fatte.

Ora sto fumando sigarette su sigarette, ma è inutile dire che non riesco ugualmente a calmarmi, ci servirebbe una canna, cazzo, ma ho la roba per farla in camera mia e sinceramente non voglio essere fatta durante le lezioni.

Ora sono dentro il bar dell'Università e sto bevendo un caffè mentre aspetto Alec e Jace.

Sono proprio una stupida dato che il caffè non fa altro che agitarmi maggiormente.
Ora mi sento un fortissimo bruciore nello stomaco, più forte di quello che sentivo prima, ma so che questi alla fine sono solo nervi e che la cosa che mi servirebbe ora è soltanto calmarmi, ma non riesco.
Non riesco più a farlo.

Ora sto ripensando ad Ander, sto pensando a quanto sono stupida, a come cavolo mi sono potuta ridurre per un cazzo di ragazzo. Sono come ossessionata da lui, come se fosse stata la mia droga per molto tempo e ora ho bisogno della dose giornaliera.
D'altronde lui è stata la mia prima cotta, il mio primo amore, l'unico che riusciva a calmarmi, ma non posso stare così, alla fine lui è andato avanti e forse è anche giusto così, l'unica cosa è il modo in cui lo ha fatto dato che almeno poteva informarmi.

Ora fortunatamente sono arrivati i miei amici e posso distrarmi per un po'.

«Oi Emma, va tutto bene?» chiede Jace appena mi vede, mentre Alec mi abbraccia per salutarmi, e quando sta per staccarsi dall'abbraccio lo stringo di più. Avevo proprio bisogno di un abbraccio.

«Si, va tutto bene. E voi?» dico rispondendo alla domanda che mi è stata fatta.
«Tutto bene, tu sei sicura di star bene? Sei un po' pallida oggi» domanda un po' preoccupato Jace.
Io in risposta annuisco e dico che ho solo bisogno di riposare un po', ometto il mal di pancia e il nervoso per ciò che è successo ieri.

Si, sono miei amici, ma non voglio già renderli partecipi di ciò che mi sta succedendo da un anno a questa parte. Non so come potrebbero reagire, cosa penserebbero di me. Magari mi prenderebbero per pazza e non ne avrebbero tutti i torti.

Ora stiamo parlando della festa in spiaggia di sabato, mi hanno chiesto com'è andata, così ho raccontato tutto, ovviamente tralasciando alcuni particolari, come essermi scopata un ragazzo.

Non so perché ma ora mi sento a disagio a raccontare determinate cose, quando prima le dicevo molto tranquillamente, quasi me ne vantavo.

Anche loro mi raccontano cosa hanno fatto e scopro che si sono ubriacati parecchio e che si sono fatti qualche ragazza, tutto nella norma, insomma.

L'orario dell'inizio delle lezioni si avvicina, così lasciamo il bar e dopo esserci salutati ognuno va verso la propria facoltà.

Arrivata in aula mi metto seduta vicino ad una ragazza e nella sedia accanto metto la mia borsa in modo tale da non far sedere Carla vicino a me.

Fortunatamente una ragazza mi ha chiesto se può sedersi vicino a me, così ho tolto la borsa e le ho lasciato il posto.

Carla poco dopo entra guardandosi intorno e non appena vede che non le ho tenuto il posto scuote la testa e si mette al primo che le capita.

Le lezioni proseguono molto tranquillamente, oggi abbiamo fatto il corso di Metodologia del design, una materia che ha l'obbiettivo di far riflettere in modo critico sui temi propri della cultura del design in tutte le sue declinazioni, indagando sulle tecniche e le pratiche coerenti.

La professoressa è molto brava a spiegare e le due ore di lezione sono volate.

Appena suona la campanella vado in caffetteria e questa volta prendo una camomilla, quella dovrebbe farmi calmare, o almeno spero.

Dopo aver preso la mia camomilla decido di andare fuori a fare una camminata. Qua le giornate sono sempre fin troppo belle e fa veramente molto caldo, e per me che adoro fare delle lunghe camminate è l'ideale.

Dopo aver fatto qualche metro mi sento chiamare da dietro, così m giro e mi trovo Carla.

«Possiamo parlare senza che te la prendi?» Domanda lei incrociando le braccia al petto. Io faccio cenno di si con il capo, così lei inizia a parlare.

«Mi spieghi perché ieri te la sei presa così tanto con noi? Tu stessa sai di stare male. Stai male da un anno e secondo noi hai veramente bisogno di essere aiutata, e lo diciamo per te ma anche per noi, perché è brutto vederti stare male, è brutto vederti mentre ti stai autodistruggendo e non sappiamo cosa fare per aiutarti. Noi ti vogliamo bene e ci soffriamo anche noi a vederti stare così, lo capisci?»

«Lo so Carla, so che sto male da almeno un anno, so che anche voi ci state male a vedermi così, che non sapete come comportarvi, ma anche io non so più che fare oltre all'autodistruzione.
È da un anno che non riesco a stare più bene, che non sono me stessa. È da un anno che mi sento uno schifo anche nei vostri confronti, perché lo noto che quando ci sono io l'aria si fa più pesante, mentre quando non ci sono vi alleggerite e siete più liberi di fare ciò che volete. Di questo mi dispiace e so che è colpa mia, ma da quando lui è uscito dalla mia vita la parte migliore di me è andata con lui, lasciando a me quella peggiore con la quale sto cercando di imparare a convivere. Forse dovrei cercare di passare avanti, di essere felice e di riprendermi quella parte di me che è andata via, ma non ce la faccio, cazzo, e stare qua è ancora peggio. Vederlo tutti i giorni con un'altra, non parlargli e non potergli saltare addosso mi fa stare malissimo, ma non è colpa sua, lui almeno ha avuto la forza di andare avanti a differenza mia, e per questo lo ammiro dato che io non ce la faccio. Forse io ero innamorata di lui, mentre magari lui nei miei confronti ha avuto solo una cotta, o forse anche meno e per questo è riuscito prima di me.
C'ho messo tutta la forza di volontà possibile per andare avanti e amarlo mi sta consumando, ma io lo amo e non posso farci niente, preferisco farmi consumare piuttosto che dimenticarmi di lui.» dico singhiozzando.
Carla mi sta stringendo forte a se e non appena alzo lo sguardo ecco che me lo ritrovo davanti insieme a Guzmàn.

È immobile, sembra una statua.
Io mi stacco velocemente da Carla e inizio a camminare a passo svelto. Mi volto, lui mi sta seguendo.
Inizio a correre, ma lui è più veloce di me e mi raggiunge subito.
Mi prende il polso e ci guardiamo negli occhi per qualche secondo.
Ha gli occhi lucidissimi, come se si stesse trattenendo le lacrime, mente io le ho già lasciate andare da un bel po'.

«Emma, possiamo parlare?» sussurra.
Io scuoto la testa, non ce la faccio.
«Emma, ti prego!» esclama portandosi le mani sul viso.
«Ander, ti prego, lasciami stare.» dico piangendo ancora di più e andandomene a casa.

Lui resta lì immobile, senza muovere nemmeno un muscolo.

Arrivata in casa vado subito in camera mia, prendo la scatola in latta dove tengo le cose per farmi una canna e ne rollo una.
Vado in balcone e la accendo.

Piango e aspiro, aspiro e piango.

Piano piano mi sto rilassando e smetto anche di piangere.

Se non ci fossero le canne penso che sarei già morta, davvero.

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