20. La prossima volta

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Clare

Consideravo l'atto del dormire come una perdita di tempo. Andare a dormire di notte era esclusivamente un atto ristoratore per recuperare le energie spese durante il giorno. Quelle notti restavano dimenticate, cascavano nell'oblio. Per lo stesso motivo odiavo dormire di giorno, chiudere gli occhi significava per me staccare la spina e perdere tempo in ore che avrei potuto trascorrere ad amare. Il vero amore era come una finestra illuminata in una buia notte, una quiete che la vita ci offriva come sacra. La vita stessa era sacra. Restavano impresse solo quelle notti in cui rimanevo insonne poiché la notte si lasciava respirare, a differenza del giorno che ansimava di urgenza.

Proprio come tutte le notti, anche quella trascorse. Le prime ore del mattino le lasciai ad amplificarmi i pensieri, i rumori dell'anima, le emozioni. Le braccia dell'uomo di fianco a me mi strinsero con la fame di resistenza. Mi lasciai cullare da quel desiderio poiché i miei rispondevano ai suoi stessi bisogni: rimanere incollati l'uno all'altro. Per la prima volta in vita mia decisi di non pensare alle conseguenze, per la prima volta mi bastarono delle braccia possenti a farmi sentire viva.

Mancarono pochi minuti alle sei quando il ragazzo di fianco a me iniziò a muoversi freneticamente. Già preoccupata per quei movimenti bruschi mi voltai a controllare cosa stesse succedendo. Il respiro gli si accelleró, non fu più costante come qualche secondo prima. All'improvviso aprì gli occhi, con un'espressione di dolore che gli fece bagnare la fronte. Mi inginocchiai sul letto cercando di capire cosa dovessi fare.

"La gamba, la gamba!" Non urló, soffocò un grido di dolore, forse con l'intenzione di non svegliare nessuno.

"Che cosa succede Brook?" Mi stavo spaventando a morte.

"Non chiamare nessuno, ti prego" Strinse gli occhi "Tirami la gamba." Provò a scoprirsi ma lo feci io al posto suo, così da capire quale fosse la gamba in questione.

"Che devo fare?" Gli chiesi, con voce tremolante. Lui stava tremando più di me ma scommisi fosse tutto dolore.

Quando gli tolsi le coperte di dosso notai la sua gamba destra troppo tesa, alzata in maniera innaturale. Sgranai gli occhi quando dietro al polpaccio un muscolo sembrò uscirgli fuori dalla pelle. Vidi un enorme bozzo e immaginai che stesse sentendo un crampo fortissimo.

"Tira!" Esclamò.

"No, lascia fare a me" Mi venne in mente l'esame pratico di scienze biomediche che probabilmente non c'entrava nulla con quello che stavo per fare ma decisi di provare.

Immaginai che Brook non riuscisse a sentire i muscoli delle gambe in generale, così con una mano gli distesi le dita del piede mentre con l'altra massaggiai quella sporgenza sotto al polpaccio. Urlò dal dolore quando gli toccai un punto più duro. Con la consapevolezza di fargli male continuai a ripetere le stesse azioni più volte. Massaggiai quel muscolo indolenzito che si ammorbidì di poco, dopo una trentina di secondi. Di fuori il sole stava sorgendo, un po' di luce entrò nella stanza mostrandomi meglio il volto pallido e addolorato di Brook. Fece dei profondi respiri che sembrarono calmarlo.

"Clare..." Mi chiamò, sofferente.

"Sono qui." Gli risposi, mentre lui cercò le mie mani disperatamente.

"Vorrei un po' d'acqua." Ansimò.

Smisi di massaggiarlo. Mi allungai verso il comodino per prendergli la mia boccia d'acqua. Quando gliela passai fece dei piccoli sorsi, come se fosse abituato e sapesse cosa fare in quei casi. Mi ero spaventata davvero tanto. Dopo quell'episodio qualcosa cambiò, fu come se la mia curiosità fosse diventata diritto di sapere. Dovevo sapere cosa gli fosse successo e perché. Dovevo sapere se tutto ciò gli avesse implicato gravi conseguenze o se fosse rischioso per la paralisi. Non mi importò di sembrare invadente, dopo quel referto Brook mi aveva resa inconsapevolmente partecipe di qualcosa di suo, tanto valeva andare a fondo.

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