Anime senza speranza

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Per tai difetti, non per altro rio, 
semo perduti, e sol di tanto offesi, 
che sanza speme vivemo in disio.

Inferno - Canto IV



Veera si guarda riflessa allo specchio con timore, ha paura di vedere il suo volto distrutto dagli artigli di Till. 

Chiude gli occhi e fa fatica a riaprirli e specchiarsi. 

Rivedere la sua immagine tornata normale scioglie solo di un po' la morsa che le serra lo stomaco. 

Non riesce a smettere di tremare, anche se continua a ripetere a bassa voce, in un mormorio monocorde, che ormai è tutto finito. Till non c'è, lei è in salvo. Si è svegliata in un letto che non le appartiene, in un luogo che non esiste, fra raffinate coperte di seta scure e un morbido e alto materasso che fa sentire il suo corpo pieno di vita, privo di tutti i dolori che di solito avverte alla schiena quando si sveglia a casa sua.

La sua mente le strilla una verità che ancora continua a negare con una piccola parte di sé: quel luogo è reale, ciò che ha passato il suo corpo non era solo un brutto sogno.

Till le farà del male se ripete ancora che niente lì esiste.

Ha imparato la lezione e si è svegliata con la consapevolezza di non voler mai più vivere un'altra agonia come quella.

Non ha via d'uscita. Non può lottare, ogni suo tentativo viene soppresso. Non può rispondere piccata, non può essere se stessa.

Deve comportarsi da burattino nelle sue mani, è l'unico modo in cui forse può smettere di soffrire.

Farebbe di tutto pur di non dover tornare a sentire quegli artigli sulla pelle.

È andata in bagno per potersi osservare nel riflesso dello specchio, con il timore di scorgersi tumefatta e sanguinante, e ora che è consapevole di essere tutta intera si rende conto di non aver bisogno di fare pipì. Se ne accorge perché quando si sveglia ha sempre quell'impulso, è normale. Eppure non lo prova.

Decide di uscire dalla grande camera da letto con passo leggero, guardandosi intorno con circospezione, alla ricerca di una via di fuga. Il cuore batte troppo forte, in una situazione normale l'idea di un infarto la spaventerebbe. Lì, però, dopo ciò che ha passato, è certa di non poter morire.

Scende le scale fino al piano inferiore. Non c'è nessuno, e non sente alcun rumore se non il malinconico canto del vento fuori dalla finestra.

Guarda oltre le tende e si rende conto che fuori dalla villa, nel giardino maltenuto e arido, ci sono due persone.

Veera si sente subito al sicuro quando le vede, decide di uscire fuori e chiedere aiuto. La porta all'ingresso è aperta e riesce a scivolare fuori velocemente, avanza nella loro direzione mentre si domanda come iniziare a spiegare ciò che le è successo e farsi aiutare a uscire, a tornare indietro. 

Sono un ragazzo e una ragazza. Lei ha gli occhi scuri, pietre di ossidiana, e i capelli tagliati all'altezza delle clavicole. È molto magra, Veera può quasi vederle le ossa, e indossa dei vestiti normali, dell'epoca da cui proviene, non quelli che le riempiono l'armadio – tutte lunghe gonne fino al pavimento e corsetti pieni di nastri. L'altro, invece, ha i capelli scuri e gli occhi che brillano di una luce pallida, celeste. È altissimo rispetto alla ragazza, che le arriva all'altezza del cuore.

«Tu chi diavolo sei?», si accorgono in fretta della presenza di Veera.

«Ho bisogno di aiuto, un pazzo mi tiene rinchiusa qui e mi ha...», non riesce nemmeno a pronunciare quella parola, i ricordi affiorano insieme alle lacrime. «Mi ha tolto tutta la pelle, prima, e ora mi sono riformata, ma-»

La morte non dormeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora