Ora entrambi erano quasi totalmente sicuri su ciò che provavano e non restava altro che potersi liberare di quel peso che gravò sulle loro coscienze per anni. Se solo i fatti fossero così semplici e diretti come lo sono le parole, sarebbe tutto più veloce e più semplice. Anche Jimin e Yoongi erano così: uno era i fatti e l'altro le parole. Il corvino è sempre stato quello più diretto, quello che con le parole non ci sapeva fare e, se aveva un qualsiasi sentimento da esprimere, lo esprimeva a gesti e nel più totale silenzio. Jimin, invece, lui ha sempre fatto giri di parole immensi per esprimere un concetto semplicissimo e a gesti ha sempre avuto grandi difficoltà. Ma alla fine si sa: se ci sono i gesti mancano le parole e viceversa. Quei due ragazzi si completavano alla perfezione.
Yoongi aveva preso tutto il coraggio che possedeva in corpo per bussare alla porta di casa del minore e parlargli a cuore aperto, così si diresse davanti ad essa, pronto a bussare. Alzò la mano chiusa in un pugno con il cuore che gli batteva in gola per l'ansia ma, proprio mentre stava per compiere il gesto che avrebbe dato inizio a tutto, la porta dell'appartamento del biondo si aprì di scatto. Ciò che si presentò davanti a Yoongi fu la figura di Jimin fasciata perfettamente fa uno smoking elegante che fece indietreggiare di qualche passo il corvino. «Oh Yoon, ciao! Hai bisogno di qualcosa?» chiese il minore, sorpreso dalla persona che si è presentata davanti alla sua porta. Yoongi, che era rimasto nella medesima posizione, guardò in direzione del suo pugno ancora alto e vicino al suo capo e lo abbassò velocemente, arrossendo un po'. Jimin si fece scappare una piccola risatina prima di lasciare spazio ad un grande e sincero sorriso sulle sue labbra, assumendo una posizione disinvolta appoggiato allo stipite della porta. «E-ehm, no tranquillo» disse Yoongi un po' imbarazzato, prima di cambiare discorso per evitare altre figure poco carine. «Piuttosto, tu dove vai così bell- elegante. Volevo dire elegante» il maggiore si batté una mano sulla fronte mentalmente: evidentemente evitare figure del cazzo non era il suo forte. Jimin, tra una risata e l'altra rispose al corvino «Vado al compleanno di un mio caro amico» «Oh, allora stavi per partire. Scusami se ti ho disturbato» sì scusò Yoongi con il biondo prima di congedarsi «Divertiti». Jimin lo salutò con un sorriso e un gesto della mano, prima di vedere l figura di quel ragazzo che tanto amava sparire dietro la porta di casa sua, chiudendola poco dopo. Yoongi si appoggiò ad essa, sospirando, mentre il biondo, faceva lo stesso dall'altra parte di quell'oggetto non troppo spesso, ma largo abbastanza da poterli dividere ancora. Jimin prese le chiavi della sua auto dalla tasca anteriore destra prima di rompere il contatto tra la sua schiena e il massiccio legno della porta dell'abitazione di Yoongi, per poi scendere le scale di quel condomino che quella volta gli sembravano infinite, dirigendosi verso la sua auto.
Nel mentre, il corvino si era buttato a peso morto sul divano: non sapeva come mai si fosse bloccato ma non aveva nemmeno la forza di incazzarsi, come avrebbe fatto normalmente. Hoseok, quella sera, non sarebbe tornato a casa perché aveva un pranzo di lavoro perciò Yoongi si ritrovò tutto solo, come sempre, a rimuginare le scelte, le esperienze, gli errori, commessi durante i suoi ultimi anni di vita. Era così stanco, così confuso, che nemmeno lui sapeva più cosa volesse dal mondo o cosa volesse da lui stesso. Passava intere nottate a riflettere su chi veramente fosse, su quale ruolo dovesse ricoprire in questa immensa e dispersiva società. Si sentiva sbagliato, diverso da tutti e sentirsi diversi non è lo stesso di sentirsi unici. Sentirsi diversi significa sentirsi una pecora nera gettata nel gregge di pecore bianche, significa non sentirsi parte di qualcosa. Sentirsi unici, invece, significa distinguersi dagli altri per qualcosa di buono, significa amarsi ed apprezzarsi. Yoongi questo lo sapeva bene: sapeva di non essere unico e si sentiva estremamente diverso. Non riusciva a trovare un qualcosa che lo distinguesse dalla massa, un qualcosa di sé stesso da amare, perché di lui odiava tutto. Si era attaccato tanto a Jimin proprio perché in lui vedeva tutto ciò che lui non era. Lo aveva amato come si ama una musa ispiratrice, come si ama il proprio mentore ma anche come si ama la propria anima gemella. Il corvino sentiva gli occhi diventare man mano sempre più pieni di lacrime e gli pizzicavano come se da essi dovesse sgorgare un mare di tristezza e malinconia. Quel vuoto, quello spazio così infinito da non poter essere riempito da nulla, si stava di nuovo impossessando di lui. Non riusciva più a muovere un solo muscolo e il suo sguardo era fisso in un punto non preciso dello spoglio soffitto di quell'appartamento. Non poteva sopportare di essere controllato da qualcosa che non venisse da lui, da qualcosa di così grande e così potente da non potergli appartenere, non di nuovo.
Si alzò da quel divano che presto sarebbe diventato una trappola mortale per lui con non si sa quale forza. Afferrò il telefono e andò a cercare sulla rubrica il numero di sua madre poi, senza esitazione, la chiamò. Dall'altra parte squilli infiniti, squilli che risuonavano come campane nella testa del ragazzo che ancora non aveva accettato la morte della sua consigliera per eccellenza. «Perché non rispondi!» urlò, ormai in un pianto disperato, il corvino, finendo per lanciare il cellulare sul divano ed urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. «Non doveva finire così! Dove sei?! Dove cazzo sei?!» continuava a chiedere nella speranza di ricevere una risposta dalla persona che più attendeva in quel momento. Scagliò un potente pugno contro il muro più vicino, sentendo un dolore assurdo che andava a mischiarsi con le amare e calde lacrime che cadevano come pioggia battente dai suoi occhi scuri e profondi. Sapeva che non doveva azzardare nulla, non doveva farsi prendere dal quel senso di abbandono che tanto lo affliggeva, così afferrò una seconda volta il cellulare. Il numero che cercò, però, fu nettamente differente dal precedente, e senza esitare premette sull'icona della cornetta.
«Pronto? Yoon, come mai mi hai chiamato?» dall'altra parte del telefono, la voce del ragazzo che amava lo calmò un pochino, non riuscendo però a fermare quelle lacrime che scendevano ormai copiose dalle sue pozze scure. «J-Jimin scusami, i-io volevo parlart-» «Yoongi per quale cazzo di motivo stai piangendo?!» prima che il corvino potesse finire la frase, il minore lo precedette, preoccupato a sentire la voce del maggiore così spezzata da un pianto tanto sentito. «V-volevo parlarti, Jimin...» disse Yoongi, poi silenzio. Il minore aveva riattaccato e gli squilli della chiamata il corvino li sentiva risuonare dentro quel suo vuoto. Ora pensava veramente di non avere più nessuno, lasciato da tutti in quella calma notte d'inverno fredda come il suo cuore in quel momento.
Continuò a piangere per una mezz'ora, scandita solo dai ticchettii dell'orologio appeso ad una delle pareti del salotto. Ad un certo punto, qualcuno cominciò a bussare insistentemente alla porta, costringendo il ragazzo ad alzarsi dal divano per dirigersi verso la fonte di quel fastidioso rumore. Quando Yoongi aprì la porta, Jimin lo guardò negli occhi: aveva il fiatone per la corsa fatta a salire le scale e si era tolto la cravatta, aprendosi alcuni bottoni della camicia. Il corvino rimase immobile a fissare quel ragazzo che pensava gli avrebbe urlato addosso per averlo disturbato e invece, era proprio lì davanti a lui, ed era bellissimo.

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ɴᴇᴏᴡᴀ ɴᴀ • ʸᵒᵒⁿᵐⁱⁿ
Fanfictionyoongi e jimin si ritrovano dopo tanto tempo, dopo anni passati tra silenzio e dissapori, dopo non aver mai reso possibile la realtà. riusciranno questa volta a riunirsi? « e nonostante passino le stagioni, le amicizie, i giorni e le persone, loro d...