HELLO, MESSY BOY.

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CAPITOLO 2.
Niccolo's pov.

Mi sveglio disturbato dalla luce del sole che penetrando dalla finestra mi ferisce gli occhi mentre percepisco provenire dal piano di sotto un odore di caffè a cui si aggiunge un profumo vanigliato. Raccolgo i vestiti da terra, mi sposto in bagno e mi lavo la faccia con acqua fredda. Poi mi guardo allo specchio, sistemo i capelli scombinati e mi dirigo in seguito in cucina dove ad attendermi ci sono le uova strapazzate con i pancake. Devo ancora abituarmi a questo genere di colazione ma se non altro non mi viene da vomitare. Profumano di buono e sono anche invitanti. « Good morning. » saluto tutti. Zac sta ancora dormendo, manca soltanto lui all'appello ma è più che comprensibile, non ha scuola. Mi siedo ed inizio a mangiare con calma mentre in sottofondo c'è il telegiornale della mattina. Malcom non lo guarda. Non gli interessa molto. Angie mi si avvicina e mi versa del caffè nella tazza bianca con su scritto in caratteri rossi Bored che è un po' il mio stato d'animo perenne. La ringrazio, mi sorride e si sposta verso il lavello dove pulisce tutti i recipienti sporchi di pastella. Io e Malcom ci guardiamo e sorridiamo contemporaneamente. È una cosa quasi naturale oramai. Mi guarda con quei suoi occhi neri attenti ed immersi in un mare di lentiggini che gli abitano delicatamente sulla faccia. Ha i capelli spettinati ma poiché è riccio non sembra essere un problema per lui. Sono di un castano chiaro e brillante a contatto col sole. « Are you ready? » domanda.
« Yeah. » annuisco mentre infilzo un po' di uovo. Sorseggio anche il caffè ma questo qui non è come quello italiano. È come se la sua essenza non fosse poi così concentrata, come se l'acqua fosse troppa ed avesse completamente annacquato la polvere di caffè. Una volta finita la colazione ci alziamo, saliamo entrambi al piano di sopra, ci laviamo i denti e dopodiché afferriamo lo zaino, salutiamo la signora Coleman ed usciamo di casa. Ci dirigiamo a scuola a piedi così posso ammirare un po' il paesaggio circostante, il che è carino. Secondo i miei calcoli il liceo non dista molto da casa nostra e per questo lui ed io ci stiamo muovendo a piedi. Il sole trapassa le case di fronte a noi ed illumina la strada un po' umida per l'aria mattutina. Continuiamo a camminare e quando finalmente giungiamo a scuola noto il piazzale principale colmo di studenti che aspettano il suono della campanella. Non so di preciso quale sia la mia classe ma dato che Malcom ed io abbiamo la stessa età sarà lui a guidarmi fino a quando non mi ambienterò. Nel momento in cui la campanella risuona intorno a noi, lui mi fa cenno ed io lo seguo. Sento l'adrenalina prendere il pieno possesso del mio corpo e mi rendo conto che tutto il coraggio che avevo messo da parte sta sparendo pian piano. « That's our class, man! » mi indica l'aula. È abbastanza spaziosa ma c'è ancora poca gente dentro perciò aspettiamo in silenzio. Lui scherza con un ragazzo che non fa altro che fissarmi come si fa con i nuovi arrivati.  Mi avvicino e lo saluto. « Nico, he's my best friend Aymeric. » dice Mac. D'ora in poi abbrevierò il nome di Malcom in Mac. « Oh great, nice to meet you! » ci stringiamo la mano e lui nel mentre mi sorride. La stanza nel frattempo comincia a riempirsi ed io sento il mio cuore mancare qualche battito. Mac mi spiega che prenderà posto con il suo migliore amico e perciò io dovrò arrangiarmi e trovarmi qualcuno che mi vada a genio. Una persona che ad occhio e croce immagino non mi faccia molte domande. Alcune ragazze bisbigliano mentre mi avvicino ad un banco vuoto. Tutti i posti sono presi ed io tiro un respiro di sollievo nel non avere un compagno di banco. O così credevo fino a quando un ragazzo dai capelli scuri come il bitume non mi si è seduto accanto senza neppure chiedere se il posto fosse occupato. Non mi ha manco salutato. Tira fuori dallo zaino due libri di testo, sfoglia le prime pagine e poi sposta con le dita una ciocca di capelli che gli ricade sulla fronte cosparsa di lentiggini. Cerco di guardarlo il meno che posso. Non è così che si approccia. Guardo fisso la lavagna nera ed ancora pulita, poi sposto lo sguardo sul resto dei ragazzi e noto che non mi guardano neppure. È un ottimo modo di affrontare l'inclusione. Io per esempio mi sarei alzato per presentarmi ai miei nuovi compagni ma a quanto pare le usanze variano da paese a paese.
« Good morning class! » un professore entra in aula tenendosi stretto la sua carpetta verde pastello. Poi si accomoda. È l'ora delle presentazioni. « Niccolò Galo. » pronuncia discutibile. Non ribatto neppure e mi alzo. Adesso tutti gli occhi dei presenti sono su di me e sento un calore avvolgermi il petto. « I'm here. » dico. Vi risparmio un intera enciclopedia di parole inglesi. Ho spiegato loro che abito a Roma, che ho diciassette anni e che mi piace scrivere testi. Nessuno dice nulla ma il prof sembra abbastanza interessato. Poi nomina qualcun altro. Federico Anteucci. Il ragazzo che mi è seduto di fianco si alza ed io sono completamente sorpreso dal fatto che sia italiano. Dice di chiamarsi Federico Anteucci, di avere diciassette anni come il resto della classe d'altronde e di avere come hobby l'andare in skate. È bizzarro che non abbia specificato il luogo di provenienza. Che sia pura dimenticanza o semplice riservatezza? Poi si accomoda di nuovo e questa volta mi volge uno sguardo impassibile. Mi tende la mano. Lo guardo con aria interrogativa e poi la stringo quasi meccanicamente. Gli piace mantenere comunque un certo distacco e perciò dopo la stretta di mano per formalità, non parla. È un buon ascoltatore a giudicare da come segue con occhi attenti ogni movimento del professore. Non gliene importa niente del fatto che gli abbia puntato i miei addosso. Continua a seguire la voce dell'insegnante come se niente fosse. Porta tre anelli. Due neri nella mano destra ed uno d'argento sulla sinistra. È assorto in una felpa bordeaux che gli calza a pennello sulle spalle e lascia intravedere in maniera molto lieve la forma del suo busto che risulta essere nella media. Rifletto e decido che è meglio se smetto di osservarlo. Federico potrebbe accorgersene ed essere disturbato dai miei modi. Estraggo dallo zaino anch'io i libri di testo che poggio sul banco, poi tiro fuori anche un astuccio. La prima ora scorre rapidamente e scopro che qui, a differenza dell'Italia, esiste una pausa di dieci minuti tra una lezione ed un'altra in modo che ogni studente possa rigenerarsi un po'. Nonostante siano tutti in perfetta armonia tra di loro, io e Federico tendiamo ad estraniarci.

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