𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 𝕦𝕟𝕠

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TN, era il nome che hai dato a quella bambina. Era forse per ricordarti quello che definivi l'amore della tua vita, o per innamorarti di nuovo della stessa persona, in corpi ed anime completamente diverse?

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TN, prefettura di Miyagi, 2017.

Mi piaceva l'inverno, anzi, lo amavo, per due semplici motivi: faceva freddo e quindi potevo sfoggiare ogni mia felpa contenuta in armadio, e poi amavo come i fiocchi di neve bianca si appoggiassero al suolo, ricordandomi dei pozzi profondi, in cui si può scorgere del blu scuro.
Un blu simile a due perle.

Avevo sempre vissuto nella prefettura di Miyagi insieme ai miei genitori, e non avevo mai pensato di sostituirla con nessun'altra.

Mi piaceva quel piccolo posticino, più silenzioso rispetto alla chiassosa Tokyo o Osaka.

Avevo da poco compiuto ventun anni e mi sentivo finalmente indipendente, dato che avevo raggiunto la maggiore età. Potevo uscire di sera e tornare la mattina presto senza che nessuno mi dicesse niente, e poi potevo bere alcolici o andare in discoteca con delle amiche.

Purtroppo essere maggiorenne oltre che a piccole gioie comportava anche grandi responsabilità, come lavorare e cominciare a realizzarsi una vita propria, senza affidarsi ai propri genitori.

Per questo motivo avevo da poco cominciato a lavorare in un piccolo bar vicino al centro. Ci venivano molte studentesse prima della scuola, oppure nei pomeriggi insieme al proprio ragazzo o con l'amica per sparlare un po'.

Amavo quel lavoro, era fatto proprio per me. Mi piaceva avere contatto con i clienti, e magari con quelli che più frequentavano il locale parlarci un po' e conoscerci. Alcune mie clienti mi confidavano perfino le loro questioni personali!

Nel piccolo periodo in cui ho lavorato nel bar avevo conosciuto due studentesse che avevano l'abitudine di incontrarsi la mattina prima della scuola per fare colazione insieme.

Dato che non avevamo molti anni di differenza non era stato difficile parlarci, anche perché avendo finito da poco la scuola c'erano molti miei professori a insegnare a quelle ragazze.

Tornando a noi.

Era una normale giornata di febbraio, se non fosse che dovevo svegliarmi ancor prima del mio orario normale perché quel giorno la mia collega, nonché capo del bar, era assente per motivi familiari e toccava a me aprire il locale e servire da sola i clienti.

Mi svegliai al suono metallico della sveglia che spensi con un forte pugno che poi diventò una mano strisciante lungo il perimetro del mio comodino, fino a che non cadde lungo il letto, penzolante nel nulla.

Ero molto stanca e non avevo voglia di alzarmi, ma dovevo.

Con le poche forze in corpo mi alzai e filai in bagno, prendendo il cambio ai piedi del letto.

Indossai il mio felpone color pesca con scritto il nome della locanda, insieme a un paio di jeans bianchi attillati nella speranza che il mio amico non decida di arrivare oggi.

Mi lavai il viso con l'acqua gelida per svegliarmi, e mi pettinai i capelli in una coda. Misi un paio di orecchini a perla giusto per far sembrare che ci tenessi a quel minimo di femminilità, come dicevano le due liceali.

Scesi in cucina, preparando la colazione composta da caffelatte e biscotti. Dopo qualche minuto si aggiunse mia madre che doveva andare al lavoro presto.

- Sonno amore? - chiese, sedendosi al tavolo con la sua tazza di caffè.

- Eccome... - mormorai tra uno sbadiglio e l'altro.

- Oggi tornerò tardi, io e tuo padre usciamo a cena. - sorrise, facendo notare le piccole rughe vicino agli occhi che cominciavano a comparire per l'età.

I miei genitori si amavano così tanto anche dopo quarant'anni di matrimonio, che carini. Hanno sempre avuto questa piccola "tradizione" di uscire a cena da soli il venerdì sera.

- Va bene, divertitevi allora. - le feci l'occhiolino, e lei rispose con una risata dolce e fragorosa.

- Scema! Abbiamo ormai più di cinquant'anni, qui quella che si dovrebbe divertire saresti tu! - rigirò il coltello nella piaga.

- Mamma! Non ho tempo per questa cosa... - bisbigliai come se fosse una scusa ingenua, permettendo alla mia mente di ripescare quel ricordo.

- Lo so lo so, speravo solo che fossi riuscita a sorvolare quell'episodio. -

- Ovvio! Non mi faccio abbattere da uno spilungone scorbutico! - risi, anche se io non ero tutta questa altezza.

- Be' penso che dopo quattro anni sia maturato un po'... - sospirò, finendo di bere il suo caffè.

- Chi lo sa. - tagliai lì il discorso - Vabbè, è ora che io vada, a più tardi mamma! - la salutai con un bacio sulla guancia, per poi indossare il cappotto, arrotolando intorno al collo una sciarpa bianca. Infine presi la borsa con tutto il necessario, tra cui chiavi e caramelle per la gola.

Una nuova giornata di lavoro mi aspettava.

Vecchi Compagni ||kageyama×reader||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora