Partenza

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Il momento era finalmente arrivato, questo giorno saremmo partiti per l'America. L'ultima settimana ci avevo ripensato molto, e non essendo mai stata a New York, la voglia di scoprire questa meravigliosa città si era accesa in me. William aveva insistito affinché venisse, ma mio padre era sicuro che si sarebbe annoiato molto. Non mi dispiaceva più di tanto la sua mancanza ad essere sincera, forse la mia mente era offuscata da questo viaggio, oppure ero talmente abituata ad averlo intorno che era diventato parte della famiglia, oppure addirittura ero sicura che lo avrei rivisto molto presto. Potevo dire di esserne estremamente entusiasta, però non volevo ammetterlo. Avevo visto il volantino che illustrava il Titanic e l'avevo trovata proprio come me l'aveva descritta mio padre: maestosa.
Non eravamo ancora pronti, eravamo pieni di bagagli. I miei genitori erano sicuri che saremmo rimasti là per almeno una settimana. Una settimana è lunga e io mi stavo preoccupando, avremmo recato molto disturbo ai miei zii. Erano stati davvero molto gentili, non li vedevo da quando si erano trasferiti in America,appunto; saranno passati all'incirca tre anni, non ci si era mai presentata l'occasione concreta di andarli a trovare, nonostante i mezzi non mancassero. Non so nemmeno io perché non ci avevamo pensato prima.
Ma come ho accennato in precedenza, stavamo per partire, ed ora l'importante era solo quello.

Giungemmo al porto di Southampton, all'Ormeggio 44 per essere precisi. Ero troppo eccitata all'idea di questo viaggio che dovevo darmi una calmata all'istante, questo genere di cose mi accontentava troppo. Eravamo all'interno dell'automobile che ci aveva accompagnato per tutta la durata del tragitto, da Londra fino a qui. Non volevo ancora sbirciare fuori, volevo tenermi questa nave come "sorpresa".
Qualche attimo dopo scesero tutti e finalmente riuscii a scendere anch'io, non feci in tempo ad alzare il capo che mia sorella esclamò: "È gigante!"
Lo era davvero, ti toglieva il fiato. Non avevo mai visto una nave così grande in tutta la mia vita, c'era qualcosa che la rendeva essenzialmente speciale ma non scorsi che cosa. I colori erano i soliti delle navi della White Star Line: il nero, il rosso e il bianco.
Il rosso riuscii a vederlo grazie all'acqua bassa del porto. Era una combinazione strana, ma dava un'aria importante all'imbarcazione.
La scritta "Titanic" in oro risplendeva a contatto con i raggi del sole. Continuai ad ammirarla ancora per qualche secondo.
"Forza ragazze, si parte." disse mio padre.
Mi sembrava d'essere tornata bambina, io ed Anne avevamo la stessa espressione facciale. Mia sorella però non aveva parlato molto, probabilmente voleva restare a Londra, oppure era stata sgridata per l'ennesima volta dai miei genitori.
I nostri bagagli vennero presi dal valletto di famiglia, Robert.
La quantità di gente al porto era immensa, si differenziava dai più poveri ai più ricchi. Noi ricchi dovevamo metterci sempre in mostra... era estremamente facile riconoscerci.
A parer mio eravamo anche troppo privilegiati, a noi era permesso non fare la fila per i pidocchi, come se i ricchi ne fossero immuni. Probabilmente ne avevamo più dei poveri.
Ma nonostante le differenze sociali, il paesaggio rimaneva sempre stupendo, il cielo oggi era particolarmente chiaro.

Dall'ingresso proveniva un tale calore da farti quasi sentire a casa. Mi stavo innamorando del Titanic. C'era qualcosa che la differenziava da tutto, eppure, non riuscii ancora a capire che cosa. Probabilmente lo avrei scoperto nei giorni a seguire.
Degli officiali ci fecero entrare e ci diedero il benvenuto. Le porte ci vennero aperte da due uomini vestiti estremamente eleganti. Le pareti erano in legno e una piacevole suonata di musica classica ci accolse all'interno della costruzione che ci avrebbe ospitato per i prossimi sette giorni. Un' immensa sala ci si presentò davanti agli occhi e questa volta commentò anche mia madre (solitamente lei aveva un giudizio molto severo su molte cose).
"Mio caro, mi hai davvero stupida questa volta. Il Titanic è stata un'ottima scelta."
Io sorrisi al pensiero di non essere l'unica ad averlo pensato.
Dopo aver salutato qualche passeggero di prima classe e dopo aver fatto un piccolo tour della nave, ci recammo nelle nostre suite. Mio padre e mia madre avevano la loro, mentre io ed Anne la nostra, condivisa naturalmente.
Mi ero portata dietro così tanta roba che non sapevo nemmeno dove metterla. Per tutto ci aiutò la nostra domestica Antonia, era spagnola. Aveva un accento che adoravo e mi aveva mostrato alcuni balli del suo paese, ballava davvero bene.
"Desidera qualcosa, Mary?" mi chiese.
"No, grazie mille Antonia. Va' e riposati. Abbiamo tutto il tempo necessario per sistemare le cose."
Lei mi sorrise e andò a godersi i suoi attimi liberi.
"Anne," richiamai mia sorella "puoi andare dalla mamma a chiederle se per caso ce l'ha lei il mio capello? Quello con i ricami bianchi... quello che avevo indosso quando siamo arrivati."
La diretta interessata sbuffò e si avviò verso la suite alla destra della nostra. Io scossi la testa, pensando che non avrebbe mai imparato le buone maniere.
Dieci minuti dopo tornò, dicendomi che nostra madre non l'aveva. Lo stavo cercando da quando eravamo arrivati e non mi spiegavo come avevo fatto a perderlo di vista. Questa nave mi stava davvero risucchiando il cervello...

RMS Titanic - un viaggio da non dimenticareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora