Collisione

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Era una notte stellata. Non c'era luna e non avevo mai visto le stelle brillare più fulgide; sembrava che volessero staccarsi dal cielo. Era una di quelle notti in cui ci si sente felici di essere al mondo.

John Borland Thayer III, superstite del naufragio del Titanic

Al momento, oltre ad un Leonard Clearson che alloggiava nei miei pensieri, si era unito anche un certo Henry Lancaster. Non sapevo bene che cosa ne avrei fatto di questa conoscenza, ma mi sembrava molto maleducato non accettare il suo invito, in fin dei conti non avevo nulla da perdere. Il tardo pomeriggio arrivò, all'esterno della nave calò la temperatura, mentre all'interno vennero accesi i riscaldamenti. Era una sera piuttosto fredda.
Mi alzai dal divano ed estrassi un soprabito comodo, quello che di solito utilizzavo in casa. Ero sola nella mia cabina, immersa nei miei pensieri, quella sera una leggera malinconia si impossessò di me. Non sapevo bene da dove provenisse, o che cosa l'avesse prodotta, ma sapevo che non era una sensazione sconosciuta. Mi era capitato, anche se raramente, di provare malinconia per qualcosa mai provata, e la sensazione del momento era facilmente paragonabile a quella. Donai uno sguardo alla stanza, che mi sembrò troppo vuota. Il mio stomaco si rivoltò, il cuore iniziò a battere. Ma che cosa mi sta succedendo? pensai. Le mie mani erano molto fredde, eppure stavano sudando. Sarà per il freddo, dissi. Ma c'era qualcosa che dentro di me mi turbava. Mi avvicinai alla finestra, pensando che un'occhiata all'esterno sarebbe riuscita a tranquillizzarmi, ma tutto ciò che vedevo erano un paio d'occhi marroni che mi guardavano intensamente. Lì capii. Sospirai pesantemente, senza pensarci mi cambiai d'abiti e mi recai all'esterno, sul ponte. Stavo ingenuamente aspettando qualcuno. Solo una sciocca si sarebbe comportata così.
A causa del freddo e del mio stato d'animo rientrai, tutto quello che stavo facendo era inconsiderato. Appena varcata la soglia della porta del ponte B, i miei occhi e il mio capo chino si scontrarono con degli abiti scuri pregiati.
"Mary."
Alzai il capo, era Alex.
"Scusa, non ti avevo visto."
"Stai bene?" domandò.
"Sì, sì, certo. Ho solo un leggero mal di testa." mentii.
"Vuoi che ti riaccompagni nelle tue stanze?"
Rifiutai, non volendolo disturbare. Una volta raggiunta la mia cabina, mio padre si avviò verso di me: non sembrava contento, per niente.
"Vieni." disse, aspro, aprendomi la strada verso la poltrona della sua cabina. Iniziai a preoccuparmi.
Si sedette di fronte a me, con espressione seria.
"Ritengo che sia giunto il momento di organizzare le tue nozze."
"Che cosa?" domandai, incredula. "William e io non ne abbiamo mai parlato, in più non mi ha nemmeno fatto la proposta!"
"Non c'è bisogno di nessuna proposta, non siamo nel mondo delle favole. È ora di crescere, Mary. Questo matrimonio si dovrà fare, le voci di ciò che è successo qualche sera fa hanno iniziato a spargersi e solamente un matrimonio può proteggere la tua reputazione. In quanto a questo, naturalmente ti è vietato avere rapporti troppo stretti con altri uomini." Sapevo benissimo a chi si riferiva.
"L'amicizia esiste, padre. E, finché William non mi ha mai parlato di matrimonio, io sono tenuta a non credere che i suoi sentimenti per me siano forti e sinceri."
"Ritengo che tu legga troppi libri, Mary, non è sano. Nessuno prende in considerazione i sentimenti in un matrimonio, il tuo è vantaggioso, non mentirò. È evidente l'affetto che provate l'uno per l'altra, e non vedo perché William debba rifiutare di sposarti. Ho sempre avuto molta stima di te, figlia mia, eppure non posso negare che ultimamente una piccola parte ha iniziato a svanire."
Lo guardai stranita, ferita. "Perché starebbe svanendo?" Non si era mai rivolto a me in questo modo.
"Per il tuo comportamento, per Leonard Clearson, una persona di cui non ho stima, solamente rispetto per il suo cognome. Non puoi innamorarti di lui, nemmeno sposare lui. Questo te lo impedirò, e mi ringraziai quando sarai sistemata con William Bursley, l'uomo più adorato di Londra, in una grande tenuta, a vivere la vita che ho sempre sognato per te." Mi accarezzò i capelli, addolcendosi leggermente.
"Io non ho mai detto di volerlo sposare." dissi. La sua espressione, da dolce, diventò seria.
"Quel ragazzo ti ha per caso risucchiato il cervello?!" esclamò, incredulo, sottraendo le sue mani dai miei capelli. "Pensavo provassi dei sentimenti per William." Dal suo tono di voce trasparivano sincera sorpresa e un pizzico di delusione.
"Io li provo, ma non mi sento pronta ad affrontare un matrimonio."
"Mi sembrano solamente sciocchezze, vedi di schiarirti le idee. Una volta raggiunta l'America, ospiteremo William dai tuoi zii, lì avremo una bella discussione e si vedrà di organizzare il tutto. Tornatene nella tua cabina, bevi un tè e rifletti bene. Questa sera abbiamo una cena con i Lancaster, una famiglia molto rispettata, mi aspetto di vederti nel tuo miglior abito. Va', ora. Presentati per le 18:30."
Feci come ordinò, non volendo dare inizio ad un litigio. Io non volevo sposarmi, non ora, e pensavo che non l'avrei fatto. Questo, lo facevo sia per lui che per me. Non potevo sopportare l'idea di unirmi in matrimonio con qualcuno che non mi dava alcuna sicurezza se non quella economica, e quest'ultima era quella che mi tornava meno utile. Non avrei mai permesso a nessuno, nemmeno i miei genitori, di obbligarmi a maritarmi sapendo che non sarei stata felice, nonostante io provassi un grande affetto nei confronti di William.
Tentai, comunque, di distrarmi impegnando la mente. Pensavo alla cena, a come sarebbe stata noiosa, probabilmente, anche se Henry sembrava essere un tipo particolare.
Uscii prima del resto della famiglia, non avevo molta voglia di trascorrere del tempo con loro.
Sul ponte, all'esterno del ristorante, vidi Leonard, che non tardò a raggiungermi. "Vieni." disse, prendendomi la mano. Senza protestare lo seguii, un sorriso solcò le mie guance.
"Che cosa hai intenzione di fare?" domandai, togliendo la sua mano dalla mia, mentre percorrevamo i numerosi scalini. Le sale erano troppo affollate per stargli troppo vicino.
"Ho un'idea." disse solamente.
"Oh no..." Mi portai le mani alla fronte, le sue idee non erano le più sobrie del pianeta.
"Stai tranquilla!"
Mi portò nella sezione della terza classe, ci fermammo per un instante per guardarci intorno, non sapendo bene dove dirigerci.
"Seguimi." Entrò all'interno di una grande sala, allestita con lunghi tavoli, segno che fosse un ristorante. Subito le mie narici vennero invase da un delizioso odore di cibo arrostito. Leonard andò in cerca della cucina, e pochi minuti dopo si presentò con due piatti pieni di cibo. Me ne porse uno.
Lo guardai confusa, "Ma dove andiamo a mangiare? Qui non possiamo."
"I ponti sono sempre disponibili..." accennò, anche se mi sembrò più una proposta.
"Ma davvero?" domandai, qualche attimo dopo, credendo che stesse scherzando, "C'è freddo, e poi sembreremmo dei pazzi!"
"Ti turba solamente questo? Ti opponi solo per questo?"
Lo guardai, cedetti, come sempre.
Insieme ci indirizzammo per il ponte A, in modo da non passare inosservati. I passeggeri cenavano nei locali del ponte B.
Il cielo era aperto su di noi, rivelando tantissime sfumature di colori caldi. Il sole stava scendendo, abbandonando scie di rosso e rosa, che si riflettevano sul mare. Nemmeno questi colori brillanti, però, riuscirono ad allentare la temperatura bassa di quella serata. Una leggera brezza attraversò le mie mani, poggiate sul parapetto di ferro, per poi salire verso il mio viso, spostando i piccoli ciuffi ricci che mi ricadevano sulla fronte.
"È bellissimo." pronunciai, guardando Leonard.
Lui si avvicinò, "Già." rispose guardando il sole tramontare. Il mare aveva assunto la colorazione del cielo, sembrava essersi mescolato a lui, e questa nave  si muoveva sulla superficie calma, come una nuvola.
Chiusi gli occhi, lasciando che la brezza marina mi liberasse di ogni preoccupazione. Li riaprii, sentendo gli occhi di Leonard, che ora si trovava accanto a me, non staccarsi un secondo dalla mia figura. Eravamo completamente soli. Mi avvicinai a lui, continuando a guardarlo. Le sue pupille si allargarono ed il suo respiro si fece più pesante. In sottofondo risuonava l'armoniosa melodia della musica classica, proveniente dal piano di sotto. Le sue braccia mi circondarono la vita, poi la sua mano si poggiò dietro il mio capo, spingendolo verso il suo petto. Chiusi gli occhi, riempiendomi dei suoi respiri e del suo cuore, che ora batteva forte. L'altra mano mi accarezzò la schiena, poi la sua testa si poggiò sopra la mia. I colori davanti a noi si erano attenuati, ma erano comunque forti, come le emozioni che stavo provando in quel momento. Questo caloroso abbraccio si sciolse qualche istante dopo, passato in silenzio. "Direi che è ora di mangiare," disse "o il cibo si raffredderà", come se non fosse successo nulla.
Ci allontanammo dalla prua, e finalmente ci sedemmo, pronti a consumare il nostro pasto.
"Ho prescelto per lei del buonissimo pane d'orzo, accompagnato con del delizioso manzo arrostito di media cottura, e delle speziate patate. Spero siano di suo gradimento." mi presento il menù, cercando di imitare la voce di uno chef francese, dandosi delle arie. "Ovviamente ho portato anche il vino." aggiunse poi, con la sua voce normale. Io ridacchiai e
respinsi la bottiglia, "Non ho intenzione di ubriacarmi questa volta, e nemmeno tu!"

Cenammo accompagnati dalla luce delle piccole stelle. Il cielo, ora, era solamente una vasta distesa scura, che traspariva fra i vari punti luminosi.
Era una di quelle notti tranquille, associata all'odore che percepivamo una volta calato il sole, specialmente d'inverno. Un misto fra l'odore del muschio e il leggero odore del fumo. Mi aveva sempre trasmesso tranquillità.
Poggiai la testa sulla spalla di Leonard, poi alzai gli occhi in direzione del cielo. Lui fece lo stesso.
"Sono le 23 passate, strano come non abbiamo ancora smesso di suonare." notò Leonard, riferendosi naturalmente all'orchestra.
"È davvero piacevole stare qui, da sola non fa lo stesso effetto."
"Ci sono venuto parecchie volte anch'io, ti sembra di essere circondato da una bolla enorme, ma è comunque una sensazione che non riuscirei a descrivere."
"Sono d'accordo. È tutto così strano..."
"Sarà ancora più strano quando attraccheremo."
"Non ci vedremo mai più, probabilmente." dissi, non riuscendo nemmeno ad immaginare le mie giornate prive di crisi legate a questo ragazzo.
"Se è destinato a finire, che sia così." Non trasparirono emozioni dal suo tono di voce.
"Non sembravi uno che crede al destino."
"Non credo al destino, l'ho detto perché suonava bene."
Ridacchiai, evitando di soffermarmi su dettagli che mi avrebbero probabilmente ferita a causa della mia permalosità.
"Fa freddo. Parecchio." dissi poi. Leonard si allontanò da me, si tolse la giacca e me la poggiò attorno alle spalle.
"Grazie." Lo ringraziai timidamente, non pensando che avrebbe fatto un gesto simile.
Mi alzai, "Scendiamo." proposi a Leonard.
Lui mi domandò il motivo, ma non risposi. Gli presi la mano, come aveva fatto lui qualche ora prima, e lo condussi alla prua della nave.
"Voglio ballare. Qui la musica si sente perfettamente."
Leonard scosse la testa divertito, poi si avvicinò a me, sempre di più. Le sue braccia mi cinsero in vita, e le mie cinsero il suo collo. I nostri corpi iniziarono a muoversi, uno di fronte all'altro, lasciandosi andare ad un lento. Notai che chiuse gli occhi, ciò mi fece credere che si stesse godendo il momento. Non c'era niente di più bello da poter osservare, o notare. Sulle mie labbra si formò un dolce sorriso. Il violino ed il pianoforte avevano davvero abbellito questa serata, colmando il mio ventre di beatitudine.
Quando ebbe aperto gli occhi, retrasse il suo braccio sinistro dalla mia vita, tenendo la mano occupata con la mia. Ci muovemmo solenni, due passi indietro ed uno in avanti, senza vergogna, nonostante gli ufficiali Fleet e Lee ci stessero osservando da tutto il tempo, commentando di tanto in tanto. Ci guardammo negli occhi continuamente, dimenticandoci completamente di ciò che ci circondava. Le nostre labbra stavano per unirsi in un altro desiderato bacio, quando il mio stomaco venne trafitto da un lampo di irrequietezza, provocato dall'udire delle grida della vedetta Frederick Fleet: "ICEBERG, ICEBERG DRITTO DI PRUA!", seguite dal temendo rumore che solo un grande ammasso di ghiaccio a contatto col ferro può emettere. Il pavimento tremò, e davanti a noi si sparsero grossi pezzi di iceberg, bagnando il legno. Alzai velocemente lo sguardo verso gli ufficiali, cercando di capire che cosa fosse appena successo. Tutto ciò che recepii fu il suono continuo di una campana e una telefonata al Ponte di comando. Non sapevo se questa collisione avrebbe apportato danni, ma soprattutto non ero a conoscenza della gravità dell'accaduto, come non lo erano i passeggeri del Titanic. Ora le nostre vite avrebbero fatto fronte al proprio destino, determinando se sarebbero state in grado di sopravvivere in mezzo al gelo di una notte di metà Aprile, al centro dell'oceano atlantico, bagnate dalle gelide acque azzurre, il cui fondo interminabile sarebbe presto diventato la dimora di un disastro navale, il disastro navale più conosciuto nella storia dei transatlantici. Non ci rimaneva altro che chiederci se avremmo rivisto i nostri cari, o se nel nostro cuore sarebbe stato meglio stamparci il ricordo della loro presenza accanto alla nostra, prendendo in considerazione il fatto che probabilmente non li avremmo mai più rivisti.

SPAZIO AUTRICE
Mentirei se dicessi che le ultime frasi non mi hanno fatto un po' emozionare.
Tutto quello che volevo dire è che questo capitolo, e quelli a seguire, non vorrei in nessun modo risultassero offensivi verso ciò che è stato realmente il disastro navale. Non avendolo vissuto in prima persona, ho cercato di fare del mio meglio, io posso solo immaginarmi ciò che hanno provato e vissuto i passeggeri quella notte. Anche il naufragio verrà esclusivamente raccontato dal punto di vista dei protagonisti, con i loro sentimenti e le loro sensazioni. Mi viene sempre da piangere al pensiero di ciò che è stata la terribile notte del 15 Aprile 1912, e spero davvero tanto di riuscire a farvi comprendere quanto terribile possa essere stato ritrovarsi in una situazione del genere. Spero di venire a sapere che avete versato qualche lacrima, affermerebbe che le mie parole riescono a suscitare qualcosa dentro di voi, anche se il merito va tutto alla tragedia.
Vorrei anche scusarmi per la lunghissima assenza, ma preferisco prendermi del tempo sapendo di star scrivendo qualcosa di sensato piuttosto che buttare giù parole che per me non significano nulla. Detto ciò, il processo di realizzazione dei seguenti capitoli richiederà del tempo e vi pregherei di non perdere la pazienza e di capire, grazie. ❤️

RMS Titanic - un viaggio da non dimenticareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora