9 Gelo fuori, caldo dentro

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Nora

Un timido sole squarciò le nuvole grigie.
Lo intravide da dietro il vetro della finestra e rimase a osservarlo incantata.
Era semplice, ordinario, normale per la maggior parte della gente, ma lei invece lo trovava bello, addirittura soave forse perché era l'unico segno di vita in un pomeriggio che sapeva sarebbe rimasto cupo e uggioso.

Ormai aveva imparato a familiarizzare con il clima del Rhode Island.
Credeva che non ce l'avrebbe mai fatta, invece così non era stato.
Sì, soffriva ancora terribilmente il freddo, ma non era più una tragedia, nulla era una tragedia se si riusciva ad accettarla.

Aveva appena finito di pulire casa, proprio lei che non aveva mai preso in mano una scopa in vita sua, aveva lavato, spolverato e lucidato ogni centimetro di quel suo piccolo appartamento.

All'inizio era stata dura, non conosceva la funzionalità di ogni singolo prodotto, poi Camille era corsa in suo aiuto.
No, la candeggina non andava utilizzata sui panni colorati, sui vestiti bianchi e sulle incrostazioni del bagno invece, andava benissimo.
Non doveva mai usare il detersivo dei piatti per sciacquare a terra, si rischiava solo di ottenere una schiuma infinita.

Aveva imparato in fretta, un po' perché non aveva altra scelta e un po' perché in fondo le piaceva, tenere la casa linda le donava un certo senso di quiete.

Si odorò per la terza volta le mani e per la terza volta arricciò il naso.
Nonostante le avesse sciacquate ripetutamente sotto il getto dell'acqua con abbondante sapone, l'odore dell'ammoniaca non accennava ad andarsene.

Il suono del campanello interruppe il silenzio di casa sua.
Voltò il viso in direzione della telecamera posizionata vicino al citofono e scorse un uomo vestito con un'uniforme azzurra, un postino.

Rimase stupita, di solito trovava le bollette nella cassetta della posta, oltre a quelle e agli annunci pubblicitari non riceveva altro.
Prese le chiavi di casa e scese giù.

Il postino le rivolse un saluto cordiale e poi le porse una busta.
Lei ringraziò gentilmente e sinceramente incuriosita dal contenuto.
Salì di nuovo a casa, chiuse la porta e si recò in cucina.

La busta era gialla, non tanto grande e non pareva neppure eccessivamente corposa.
La aprì stando bene attenta a non strapparla e quando gettò un'occhiata al suo interno le si mozzò il respiro.

Fu come ricevere un pugno veloce e aggressivo che dall'oltreoceano aveva viaggiato lungo tutti i continenti fino ad arrivare lì, nel punto preciso dove voleva colpire, al centro del suo stomaco.

Capì subito di cosa si trattava.
Con il cuore in gola fuoriuscì tutti i documenti, li posizionò sul tavolo a uno a uno e rimase a contemplarli con la bocca spalancata.

Un documento di identità, un passaporto, una cittadinanza americana.
Nuovi di zecca.

Vi era la sua foto, una che ricordò benissimo di aver fatto in Kuwait circa sei mesi prima della sua partenza e poi quel suo nuovo nome.
Nora Abbot.

Quindi sarebbe stato così per sempre?
È vero, il primo giorno di college, la segretaria la chiamò con quel nome, come se fosse stata avvertita, come se già sapesse.

Aveva capito subito che era opera di suo padre e lei completamente presa in contropiede prima, e furiosa poi, era stata al suo "gioco".

Nella mente aveva formulato mille ipotesi, da una semplice mania di controllo a un volere in qualche modo preservarla nel caso si fosse cacciata dei guai, ma nel tempo aveva cominciato a sospettare che ci fosse dell'altro, forse qualcosa di più profondo, di più grave.

L'usignolo sul fiore di lotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora