14 Segno del destino

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Evan

Si era sporcato le scarpe.
Piccolissime goccioline punteggiate a lato delle sue Clarks.
Piccolissime goccioline rosse.
Erano quasi microscopiche, ma lui le aveva notate.

Prese un fazzoletto da dentro la sua giacca e le pulì accuratamente, poi, lo gettò in mezzo al camino assieme agli altri detriti.
Documenti, fascicoli, foto.

Guardò la spirale di fuoco completamente apatico, non una singola emozione attraversava i suoi nervi stanchi.

Si sentiva solo svuotato, un po' come il corpo di Jean Bernard che giaceva inerme in quel vicolo stretto e buio.

Forse lo avevano già trovato e allora, quella stretta stradina silente era diventata di colpo illuminata dalle sirene delle volanti, o forse, l'avrebbero trovato tra qualche giorno, quando il fetore sarebbe ormai diventato troppo forte.

Gli aveva sparato in vicinanza, un colpo in fronte.
Era caduto a terra con gli occhi sbarrati, in viso un'espressione scioccata e rabbiosa.

Non aveva avuto altra scelta, Jean, come tutti quelli della sua specie, era guardingo, non si fidava di nessuno.
Non era mai semplice trovare il momento propizio, o più semplicemente il momento in cui si trovasse da solo, completamente.
Ma con Jean c'era riuscito.
Il suo vizio per le prostitute l'aveva fregato.
Non escort di lusso, ma prostitute che battevano le strade, preferiva quelle nonostante la montagna di soldi che possedeva.

Evan aveva rinunciato a scoprire il perché, in fondo non gli importava nemmeno, sapeva solo che quando l'aveva scoperto, per un lunghissimo e doloroso attimo, il cuore gli si era stretto in una furente morsa.

Aveva imparato tutto di lui, come d'altronde faceva con tutti quelli che avevano avuto la sfortuna di conoscerlo.
Di solito bastavano due o tre giorni per analizzare, pedinare, studiare gli orari, finché non arrivava a trovare il fatidico momento.
A volte, quel momento era rischioso, com'era capitato per il politico in hotel, qualche mese fa.
Aveva dovuto assicurarsi che le telecamere non funzionassero, studiare alla perfezione ogni via d'uscita dell'hotel, agire dentro uno striminzito ascensore con la gente a solo qualche metro di distanza da lui.

Le fiamme accartocciarono l'ultima foto di Jean, quella assieme a suo figlio.
Quel ragazzino biondo sarebbe cresciuto senza un padre, un po' come lui.
Evan aveva avuto diciassette anni quando si era visto costretto ad affrontare quel tipo di lutto, avvenuto non certo per mano di un sicario, ma per via di un banalissimo infarto, eppure per lui, era assolutamente la stessa, identica cosa.

Come un cerchio che si ripeteva, ancora e ancora, perché in fondo la morte era sempre orribile in qualsiasi forma si manifestava.
Lui e quel ragazzino erano uguali.

Ma il padre di quel bambino era anche un violento francese che per anni aveva gestito un intero impero di eroina in tutta la costa, era quello che a sua volta aveva fatto commissionare omicidi e mandato serpenti morti ai nemici come atti intimidatori.

Si guardò allo specchio e notò profonde e scure occhiaie sul viso, l'unico e il solo segno della nottata buia che aveva passato.
Aveva bisogno di una doccia e di un buon caffè, poi via al lavoro, quello pulito, innocente, normale.

Il suo telefono vibrò, un messaggio.
Si chiese chi mai sarebbe potuto essere alle sei del mattino.
Una sensazione di vuoto si depositò leggera nel suo stomaco.
Magari era lei. Forse, probabilmente.
Non appena poggiò gli occhi sul display del suo smartphone, capì che non si era sbagliato e quella sensazione si trasformò in una piacevole convinzione.

La immaginò appena sveglia mentre si stropicciava gli occhi.
E poi la immaginò di nuovo come l'ultima volta.
Le sue labbra al gusto di vaniglia, quel corpo sinuoso, gli occhi scuri e profondi.

L'usignolo sul fiore di lotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora