Quattro maggio

426 40 9
                                    

Il quattro maggio è arrivato e con esso i miei diciotto anni. Sulla mia scrivania giace la mia richiesta di cittadinanza italiana, che sto compilando, pronto ad abbandonare per sempre quella tunisina.

Nell'esatto momento in cui mamma finisce di sparecchiare suonano al citofono, lei schizza fuori dalla cucina e va ad aprire, senza neanche chiedere chi è. Non dice niente e la guardo aprire la porta con un sorriso a trentadue denti.

La prima cosa che vedo sono due palloncini giganti, a forma di 1 e di 8, argentati e decisamente pacchiani, poi entra Da con una borsa piccola nell'altra mano, seguito da Daniele e una cassa di birre, Filippo con una borsa dell'Esselunga e una di un negozio di vestiti e Marina e un cartone enorme di una pasticceria. Spalanco gli occhi, esterrefatto.

«Non avrai mica creduto che ce ne fossimo dimenticati?» mi chiede ironico Dario, appena incrocia il mio sguardo. Salem è impazzito e saluta tutti come se li conoscesse da una vita, mentre papà è sull'orlo del suicidio vedendo questa banda di adolescenti festaioli occupare casa sua. L'unica tranquilla resta mamma, che aiuta Mari a mettere la torta in frigo.

«Cos'hai lì?» gli chiedo indicando la borsa piccola.

«Bello, fatti i fatti tuoi, è il regalo» si intromette Filippo, mettendo sul tavolo una bottiglia di coca cola, una di tè freddo e due pacchetti di patatine.

«Non dovevate» borbotto, seguendo Dani con lo sguardo, mentre appoggia la cassa di birre sul piano della cucina, l'apre e ne prende due, allungandone una a Da.

«Stai zitto» asserisce lui, aprendosi la birra. «Dai, Dado, sei penalmente perseguibile, non sei contento?» mi dice, scrollandomi una spalla.

«Come una Pasqua» mormoro, mentre tutti si siedono attorno al tavolo, a parte Mari, che prima di accomodarsi, mi mette un cappellino da festa rosa, che è decisamente troppo esoso per me, per cui me lo tolgo e lo lascio a Sal, che lo accetta di buon grado. «Ma... esattamente, come avete fatto a organizzare tutta sta roba?» chiedo.

«Da ha rubato il numero di tua madre dal tuo cellulare» dice Dani, accennando un sorriso. Tra noi le cose non sono ancora risolte, Dario non mi ha più detto niente e io non credo di sapere più dove sbattere la testa.

«Tu sapevi tutto?» chiede papà a mamma, voltandosi di scatto verso di lei, che annuisce, sorridendo. «E non mi hai detto niente?»

«No, perché tu non avresti accettato tutte queste persone in casa». Papà sbuffa dal naso.

«Dai, dai, Raja, avrai la migliore festa che questa casa abbia mai visto» gli dice Da, allungando il braccio con la birra, imitando un brindisi. Io scuoto la testa, ridacchiando, non riuscendo neanche a immaginarmi mio padre un minimo festaiolo.

«Dario» lo chiama Sal, strattonandogli la felpa.

«Dimmi»

«Ce l'hai la ragazza, almeno tu?» gli chiede. Dario si allarga in un sorriso e lancia un'occhiata a Filo, che gli mette una mano sulla coscia. Spero vivamente che papà non cavi i loro occhi con la forchettina da dolce che mamma gli ha appena messo davanti.

«Ce l'ho di fianco, niño, il mio ragazzo» dice a mio fratello, con una punta di orgoglio, con Filippo che gli sorride dolce.

«A scuola abbiamo fatto educazione sessuale» continua Sal, ignorando totalmente il fatto che siano due ragazzi. «Voi fate sesso?». Oh, merda. Papà ha già una mano sugli occhi, mentre mamma è semi-paralizzata sulla sedia. Marina sembra interessata alla conversazione e Dani ride muto, guardandomi. E, nonostante io sappia perfettamente che la sua risata è provocata dall'assurdità della situazione, nel più profondo del mio cuore, vorrei essere io la causa di ogni suo sorriso, che gli piega le labbra in quel modo, che gli crea quelle fossette che sembrano essere fatte apposta per le mie dita.

Corda del SolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora