Finocchi al cioccolato

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Dario oggi non c'è, non è venuto a scuola e, nonostante io non abbia ancora riavuto indietro la mia banalissima bic blu, le mie preoccupazioni sono tutt'altre rispetto alla mia biro. Che l'abbiano ammazzato di botte, una volta usciti da scuola, ieri? O che suo padre l'abbia spedito da qualche parroco per esorcizzarlo? O che qualcuno abbia deciso di ucciderlo davvero?

Scarabocchio l'ennesima stellina di fianco al paragrafo su Locke, che la porta si apre quasi di scatto e da quella compare Dario, sbuffando, con un cipiglio che mi sembra tutt'altro che sereno. Chiude la povera porta con un colpo secco e asserisce brevemente: «Scusi, prof, per il ritardo. Oggi evidentemente non è giornata».

Senza aspettare risposta dalla Giacomini che lo guarda paralizzata, raggiunge il suo banco dietro di me, ci butta sopra lo zaino e si lascia cadere sulla sedia con un sospiro scocciato.

«Ma che ti è successo?» gli chiede Daniele.

«Lasciamo stare, va» risponde lui, secco.

«Tuo padre...?»

«Daniele. Santo Iddio. Lasciamo perdere» sibila, scandendo bene le parole.

«Dario, sei arrivato giusto in tempo» dice la prof. «Oggi cambiamo i banchi». Un leggero brusio di indisposizione sferza il silenzio nell'aula. Lei prende con una calma invidiabile un foglio, dalla sua borsa e lo osserva. «Vediamo un po'...», indica con un braccio il banco esattamente davanti la porta, in prima fila, tutto a destra. «Adam... e Dario». Oh, bhe, tra tutto questo branco di mentecatti, non è neanche quello che mi sta più sul culo, mi posso ritenere soddisfatto. Sicuramente è più simpatico della mia attuale compagna di banco, che si presenta a scuola un giorno sì e altri quindici no. Non mi ricordo neanche il suo volto, a momenti.

«Oh ma andiamo...» sento borbottare da dietro. «In prima fila? Sul serio?» continua Dario, sbuffando. Prendo tutte le mie cose un attimo prima che lui artigli la manica della mia felpa e mi trascini verso i nostri nuovi posti. «Vieni con me, brutto deficiente» mi bofonchia, ironico.

Lascia cadere lo zaino tra le nostre due sedie e praticamente collassa sulla sua, nascondendo il viso tra le braccia incrociate sul banco, la zazzera di capelli castano chiaro lasciata disordinata. Io mi siedo il più pacificamente possibile, perché oggi il suo buon umore sembra averlo lasciato nel letto e non voglio infastidirlo. «Davvero un bella coppia, sì sì» commenta, sovrappensiero. «Il frocio e il musulmano, anime gemelle» continua. Non riesco a nascondere un sorriso all'accostamento, praticamente antitetico. «Ti faccio schifo?» mi domanda, guardandomi e reggendo svogliatamente la testa con la mano.

Alzo un sopracciglio. «Dovresti?» ribatto. No, che non mi fa schifo. Nessun essere umano su questa maledetta Terra potrebbe mai farmi schifo, al di là di qualsiasi cosa malata abbia nel cervello.

«Bho, non so, dimmelo tu» continua scrollando le spalle.

«No, che non mi fai schifo» dico solamente. «Insomma, sei sempre Dario»

«Magari... che ne so, per il tuo credo... insomma, Allah non credo sia molto contento che io me lo prenda in culo» asserisce. «Se è per questo, neanche Gesù lo è»

«A me non potrebbe fregare di meno di chi si infila nelle tue mutande. Che ti importa cosa dice la mia religione a riguardo...?» mormoro, forse arrossendo.

«Certo che ne hai di materia grigia, Adam... se parlassi almeno una volta al giorno, si capirebbe di più»

«Eh?»

«Eh, "eh" che cosa? Siamo nella stessa classe da 4 anni e manco so il tuo compleanno. Zio, devi parlare un po', se no ti si mummifica la mascella, in più parlare con le altre persone evita un sacco di malintesi e giramenti di coglioni» mi dice sorridendo. Wow. Ok, calmi tutti. Ma che vuole esattamente? Forse ha ragione, non parlo molto. Non che mi freghi qualcosa di cosa pensa di me, però... sì, ha decisamente ragione. Parlare evita situazioni imbarazzanti. Bhe, le crea anche, visto la scena di ieri a pranzo coi miei. Inoltre, crea un sacco di stress, che per la mia ansia sociale da psicopatico non è proprio il massimo.

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