Non so esattamente come ci sono finito io qui, a guardare il soffitto del salotto di casa.
Non penso a niente, non sento niente, non provo niente. Il mio cuore è una steppa arida, in cui non c'è posto neanche per la tristezza, o per la rabbia.
I genitori di Dani stanno trafficando in camera nostra. Mia. Si stanno prendendo quasi tutte le sue cose. Io mi sono tirato indietro, lasciando decidere a loro cosa raccattare e cosa no.
Luigi ha parlato per un po' al telefono, ma non ho ascoltato. Neanche il suono del citofono mi fa uscire da questo stato catatonico di assoluta apatia.
«Dado...» mormora Da, dopo un paio di secondi, entrando in casa. Lo guardo per un millisecondo, poi riporto lo sguardo verso al soffitto. Niente, non provo niente. Neanche guardando Dario, il nostro migliore amico, riesco a provare niente. «Cristo santo...» continua lui. Si butta per terra, di fianco al divano e mi mette una mano sulla coscia. Io non rispondo, al tocco, al suo saluto, a niente. Non ne sono in grado. «Hai chiamato i tuoi?». Scuoto leggermente la testa, per negare. Il suo pollice sfrega contro i miei jeans, ma non mi rassicura. Niente potrebbe farlo, davvero, niente. Dentro e attorno a me, c'è solo il nulla più assoluto. Non c'è niente da fare, da vedere, niente da provare. Non c'è più niente da vivere.
Dopo non so quanto tempo, i miei suoceri se ne vanno, lasciandomi un paio di saluti e raccomandazioni al limite del disperato. Quello che dovrei essere io, ma le mie emozioni sono volate via, come foglie nel vento.
Arriva anche mamma, trafelata, Dario l'ha sentita. Non so cosa le abbia detto, ma percepisco la sua sincera preoccupazione.
«Dov'è Dani?» mi chiede, accovacciandosi davanti al divano. Non mi muovo, non dico niente, il bianco ottico di questo soffitto è tutto ciò che mantiene un mio contatto con la realtà. Non riuscirei a dirlo neanche volendo. Penso di essere nella fase di negazione dell'accaduto, oppure il fatto che stanotte non sia riuscito a chiudere gli occhi mi fa stare in risparmio energetico. Posso dire con assoluta certezza che questo è il sabato mattina peggiore della mia vita. Menomale che non devo lavorare, perché non so cos'avrei combinato. Dario si è rimesso come prima, con la mano sempre sulla mia gamba; credo di capire la sua apprensione nei miei confronti e la sua tristezza, ma non potrei in alcun modo consolarlo, né niente del genere.
«Dado, glielo devi dire...» mi sussurra. Come faccio a dire una cosa del genere? Non ci posso ancora credere neanch'io. Sospiro, continuando a non sentire niente. Come porca miseria è possibile che io non riesca a provare uno straccio di sentimento? Andrebbe bene anche una blanda irritazione, una leggera tristezza, persino un po' di sollievo. Glielo devo, cazzo, è l'unica persona che si merita veramente i miei sentimenti, anche se non lo vedrò mai più.
«Per favore, Adam, non farmi preoccupare, che succede?» continua mamma. Mi metto seduto sul divano, sentendo la mia testa girare vorticosamente. Mi stropiccio gli occhi e guardo l'orologio appeso al muro. Sono quattro ore che non mi muovo. Otto ore e mezzo che non provo sentimenti. Più di dodici ore dall'ultima volta che ho potuto vedere Daniele.
Osservo l'ambiente circostante: casa è sempre la stessa, però ha un aspetto più spento del solito, ma sicuramente sono io, Dario è per terra, sembra sconvolto, capelli tutti arruffati, gli occhi lucidi e un'espressione spezzata, mamma è preoccupata davanti a me.
«Daniele è...». No, non ce la posso fare. Questa cosa va oltre ogni mio limite di sopportazione emotiva; ho solo vent'anni, non sono in grado di gestire una situazione del genere. Sento di nuovo la mano di Da, ma stavolta sulla spalla, la stringe leggermente, forse per darmi la forza di affrontare tutto questo. Ebbene, non ce l'ho la forza, per affrontare un bel cazzo di niente. «Daniele è morto» sussurro.
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Corda del Sol
Romance"Questo quarto anno si sta rivelando più noioso del previsto, decisamente meno "nuovo" del primo e del terzo, più difficile del secondo. In più, in questa classe di cerebrolesi, mi sono scelto come compagna di banco un fantasma assenteista. Non pret...