Perché l'amore non ha età

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Premette ripetutamente sul meccanismo a scatto della penna, scorrendo con lo sguardo i nomi dell'elenco. Erano solo a metà giornata e per quanti studenti esaminasse gli sembrava che la lista non avesse mai una fine.
Detestava la sessione, ma lo confortava sapere che l'intensità con cui la odiavano gli studenti era uguale, se non maggiore, paragonata alla sua. Se c'era una cosa però che quei giovani adulti odiavano ancora di più, era il loro professore di Giapponese antico, Aizawa Shota.
Di certo non traeva divertimento nel bocciare gli iscritti al suo corso, tutt'altro; eppure provava un'istintiva rabbia per quelli che si limitavano a studiare passivamente, stuprando poi le sue orecchie con definizioni e regole totalmente sbagliate. Teneva a ciò che spiegava, ovvero il campo a cui aveva dedicato la sua vita, tutto qui.

Lesse ad alta voce il nome del prossimo che sarebbe passato sotto le sue grinfie: Hizashi Yamada.
Un biondino allegro e sorridente si alzò dalla sua seduta a metà aula sotto lo sguardo terrorizzato di un paio di coetanei.
Aveva già interrogato Yamada, tre volte.
In tutte e tre era andato oltre le sue aspettative, ma non l'aveva comunque promosso.
La spiegazione, ai suoi occhi, era molto semplice; ma a tutti i presenti in aula, invece, era sembrato puro e semplice accanimento.

Il ragazzo si sedette di fronte a lui, l'immancabile sorriso stampato in faccia.
«Buongiorno!» Posò il suo tesserino sulla cattedra, in modo che potesse verificare la sua identità, esattamente come le altre volte.
«Iniziamo dalle regole fonetiche.»

*

Finalmente quell'eterna giornata era giunta al termine, anche se gli era costato un gran mal di testa portarla a compimento; maledì per l'ennesima volta i suoi studenti, inghiottendo una pastiglia senza neppure bere un goccio d'acqua.
Il suo pensiero poi corse subito alla figura del biondino, Yamada.
Aveva svolto un esame brillante, di quelli a cui aveva avuto poche volte l'opportunità di presiedere; vedendo i volti stupefatti dei suoi compagni aveva deciso che quel quarto tentativo sarebbe stato quello buono: l'aveva promosso, con un voto buono, ma non eccellente. Quando aveva sfoggiato un riso contento e incredulo, per la felicità, gli aveva ridato il documento sbuffando uno "sparisci" a denti stretti.

Allentò l'ultimo bottone della camicia e si sistemò la tracolla in spalla, prima di afferrare la maniglia del suo ufficio e abbassarla.
Passava talmente tanto tempo lì dentro che quando rientrava gli sembrava quasi di essere tornato a casa e, anche per questo, lo girava tranquillamente senza dover accendere la luce principale, troppo luminosa per i suoi gusti.
Lasciò cadere la borsa di pelle, avvicinando una mano all'interruttore della piccola abatjour; prima che potesse accenderla però, percepì una presenza poco lontano da lui.

«Ci sei andato pesante, eh?» Una risata catturò la sua attenzione, provocando la comparsa di un piccolo sorriso sul suo viso.
«Posso fare di peggio.» Lasciò la presa sull'interruttore, girandosi verso la fonte di quella voce così familiare e verso il rumore di passi, sempre più vicini.
Non si sottrasse quando delle mani afferrarono dolcemente il suo viso, accarezzandone i lineamenti e tastando la barba ispida appena accennata.
Un risolino, appena udibile.
«Can you...?»

Quel tono sensuale e sfrontato, che riusciva come niente a smuoverlo, fu seguito subito da delle labbra premute sulle sue.
Socchiuse gli occhi, godendosi quel contatto e approfondendolo, accarezzando a sua volta la pelle liscia di quel viso.
Lasciò che il corpo dell'altro premesse sul suo, alla ricerca di un contatto più stretto; fino a quando non mise fine al bacio, appoggiandogli la guancia al petto.
«Sai, penso che mi meritassi un voto più alto.» La sua voce calda gli riempì le orecchie; poteva quasi vedere il suo sguardo furbino nonostante il buio regnasse nella stanza.
«Ah sì?» Chiese, fingendosi sorpreso.

«Yes. Non hai idea di quanto mi sia dovuto concentrare per non saltarti addosso nel bel mezzo dell'esame...» La sua mano afferrò delle ciocche di capelli, scostandole e permettendogli di depositare diversi baci sul suo collo.
«Dì la verità, l'hai fatto apposta a presentarti con i capelli raccolti...» Poteva sentire il suo respiro su quella scia fredda e umida data dai precedenti baci, provocandogli dei brividi lungo tutta la schiena.
«E ad abbassarti gli occhiali sul naso, mentre mi interrogavi...
Per poi rivolgermi quello sguardo...» Un morso, dolce e delicato, dietro all'orecchio, lo face capitolare.

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