Impulsi.

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Harry

Quella mattina il letto sembrava scottarmi la schiena.
Mi svegliai alle sei e tredici e - nonostante avessi provato innumerevoli volte a riaddormentarmi - non ero riuscito in alcun modo a prendere sonno. Così, alle sei e trenta, mi ero alzato e mi ero fiondato in bagno per fare una doccia.

Mi sentivo infastidito da nulla in particolare. Era come se - ad un certo punto - mi fossi reso conto di detestare ogni cosa mi circondasse, e per un motivo apparentemente inesistente. Il rumore ovattato delle auto che sfrecciavano sull'asfalto, mi dava il mal di testa, la luce fioca del sole che attraversava le finestre, mi procurava un insopportabile fastidio agli occhi, la maglia che avevo indossato mi sembrava troppo leggera, la felpa troppo pesante, e la fascia con cui mi ero acconciato i capelli mi faceva sembrare un insegnante di fitness in pensione, ma senza, sembravo un barbone.

Sbuffai rumorosamente, sedendomi sul bordo del letto ed infilandomi gli stivaletti scuri.
Quando mi capitava di svegliarmi di quell'umore, difficilmente decidevo di muovermi da camera mia, ma per qualche motivo pensai che rimanere tra le mura scure di quella camera asettica, non avrebbe fatto altro che infastidirmi maggiormente. Così arraffai il mio iPhone, mi sistemai il cappello sulla testa ed uscii.

Solitamente bastava una bella fetta della torta al cioccolato che mia madre mi preparava quando ero giù di morale a farmi tornare subito sereno, ma quel giorno convenni che mi sarei dovuto accontentare di qualche pasta alla cannella che l'hotel serviva a colazione.

Chiusi la camera a chiave, riposi le chiavi in tasca e mi diressi verso l'ascensore che - notai da lontano - fosse già aperto. L'interno era colmo di lenzuola bianche e azzurre, federe di cuscini ed asciugamani con su ricamato il logo del Sebastian's. Accanto alla montagna di panni sporchi, se ne stava in piedi Louis, con le braccia incrociate al petto ed il piede che batteva frenetico sul pavimento.

Aumentai il passo, cercando di raggiungere l'ascensore il più velocemente possibile, ma quando fui sul posto, le porte si erano già chiuse ermeticamente.
Imprecai a bassa voce, fiondandomi sulle scale il minuto dopo e percorrendole sino al piano superiore. Cercai di stabilizzare il respiro affannoso a causa della corsa, poi mi avvicinai ad una delle stanze che - sapevo - fosse la lavanderia.
La porta era chiusa, ma io entrai comunque senza neppure prendermi il disturbo di bussare.

Trovai Louis inginocchiato di fronte ad una delle tante lavatrici con una cesta di lenzuola gocciolanti tra le mani. Azionò l'aggeggio, poi posizionò i panni nell'asciugatrice e tornò a sedersi di fronte all'oblò. Teneva entrambe le mani sul vetro ed il viso premuto sulla superficie trasparente. Lo vidi sorridere ampiamente quando - all'interno dell'elettrodomestico - tutti i capi presero a girare vorticosamente.
Lui se ne stava a lì, a fissare quel groviglio di panni bagnati con la stessa curiosità di un bambino ed io lo osservavo in silenzio, poggiato sullo stipite della porta, e sorridevo di fronte all'innocenza dei suoi gesti.

Fu il rumore di un flacone di detersivo che si svuotava sul pavimento, a rompere quella magia.

"Che cazzo fai?"

Louis scattò in piedi, recuperando uno straccio ed avvicinandosi a me.

"Scusami, non-"

"Adesso mi tocca ripulire tutto" mi interruppe lui, strofinando via il liquido colorato dal pavimento.

"No, aspetta, lascia che ti aiuti" mi offrii, inginocchiandomi di fronte a lui.

Louis scosse la testa con disappunto e lo sentii ridere amaramente prima che "Mi avrai ripetuto questa frase un milione di volte" mi ricordasse. "E no, non lo voglio il tuo aiuto. Hai già combinato abbastanza guai"

Il Sole Esiste Per Tutti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora