Tensione... fisica.

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Louis


Avendo finito il mio turno mattutino prima del previsto, mi diressi nella hall sperando di incontrare Michael con il quale, la sera prima, avevo avuto un acceso dibattito sul comportamento irriverente di Harry. Mentre allacciavo i lacci consumati delle mie vecchie Vans, tirai un sospiro di sollievo ripensando all'esito della discussione tra me ed il mio ragazzo. Quest'ultimo infatti, dopo avermi intimato in modo poco gentile, di liberarmi del pupazzo che il riccio aveva vinto per me (cosa che non feci perché non ne ebbi il coraggio), mi aveva semplicemente ammonito di stargli lontano, il che mi sembrò perfettamente lecito. Con i suoi modi di fare, Harry non aveva fatto altro che immettere tensione nella relazione che io e Michael avevamo faticato per mantenere salda e forte; certamente non era la prima volta che il rosso si mostrasse contrariato nei confronti di qualcuno, in quanto nutrisse un particolare senso di protezione nei miei riguardi, cosa che nei primi tempi della nostra relazione mi aveva lusingato parecchio ma che, col passar del tempo, aveva cominciato ad opprimermi.
Ma non per questo, avrei smesso di considerarlo un pilastro importante all'interno della mia vita; lui era stato tutte le mie prime volte e quello avrebbe sempre rappresentato un dettaglio rilevante per me. Con lui avevo rischiato, mi ero buttato ed avevo provato a volare ed anche se in quel preciso momento della mia vita, la mancanza della mia città natale mi avesse bruciato le ali, lo ringraziavo tacitamente tutti i giorni perché, almeno per un lasso di tempo, avevo volato e mi ero sentito libero. Poi la libertà era progressivamente sbiadita, scomparsa, si era dissolta nel nulla lasciandomi in bocca un retrogusto di amaro ed una manciata di vecchi ricordi che non sarei mai riuscito a riportare indietro.
Quando ero uscito sul basso balconcino di camera mia, quella notte del ventisette Aprile, e mi ero lanciato giù insieme al mio piccolo borsone di viveri, avevo solo una cosa per la testa: volevo amare e volevo essere libero e con Michael mi si era presentata la possibilità di avere entrambe le cose. Ero un ragazzino sciocco e testardo ed avevo preferito provare l'ebrezza del proibito piuttosto che sottostare alle decisioni, in parte corrette, dei miei genitori, i quali pensavano non fosse sano portare avanti una relazione a distanza con qualcuno.
Ottenere la libertà, era l'unica cosa a cui ambivo, l'unica cosa che desideravo e per la quale ricerca, pensavo di avere gli strumenti necessari. Avrei anche potuto capire prima che un paio di maglie, dei jeans ed uno spazzolino, non mi sarebbero bastate a volare nel modo in cui speravo, avrei anche potuto capire prima che, la libertà a cui tanto ambivo, sarebbe stata anche l'ultima cosa che Michael sarebbe riuscito a darmi.


Quel giorno però, ero stranamente di buonumore (cosa che in parte scaturiva dal mancato litigio tra me ed il rosso), ero più in forma del solito, oserei dire; infatti avvertivo talmente tanta energia in corpo, da sentirmi intimorito persino io stesso da quello strano cambiamento.
Solitamente, pur essendo di natura un tipo esageratamente attento, ero alquanto pigro. Non amavo in particolar modo lavorare (motivo per cui quel doppio turno non mi aveva reso esattamente entusiasta), ma se proprio dovevo farlo, preferivo svolgere i miei compiti nel modo più corretto possibile. A dimostrazione di questo, c'era il fatto che a scuola fossi sempre stato lo studente modello: il classico ragazzo che si siede in prima fila per riuscire ad ascoltare meglio la lezione, così da non doverla studiare nuovamente a casa (qualcuno la chiamava "pigrizia", ma per me era "astuzia"), quello che consegna in anticipo i progetti di tecnica e raramente dimentica di portare il libro di testo, quello che apprende per primo il messaggio di una novella e svolge le migliori parafrasi. Per non parlare dell'unica e tanto amata ora di psicologia che ci era concessa ogni settimana, nel college che frequentavo. Durante quegli scarsi sessanta minuti, ci sedevamo tutti in cerchio, mettevamo i nostri libri di testo sulle ginocchia ed ascoltavamo il professor Clark illustrarci il profilo e le tesi dei maggiori esponenti della psicologia. Adoravo tutto ciò che riguardasse quella materia, motivo per cui, quando lessi "Freud" sulla copertina di un libro lasciato sul bancone della reception, pensai di essere impazzito.

"Hey, Josh!" richiamai l'attenzione del mio amico che sembrava particolarmente concentrato nello sfogliare una rivista.
Al suono della mia voce però, alzò lo sguardo e mi sorrise gentilmente.

"Louis! Abbie è già tornata? Non lo sapevo" disse chiudendo il giornalino e mettendolo via.


"Oh no, oggi ho finito prima" lo informai continuando ad osservare quel pacco di libri lasciati sul bancone. "Piuttosto, quelli?" domandai indicandoli.

"Quelli sono arrivati stamattina presto" disse lui prendendo la pila di stampe avvolta da spessi strati di cellofan. "Direttamente da Londra" continuò porgendomeli.

"Ma non sono per me" dissi storcendo il naso e ottenendo uno sguardo divertito da parte di Josh.

"Devi consegnarli, idiota" mi informò quello con tono derisorio.

"E perché io?"

"Perché tu sei la nuova Abbie e lei era solita occuparsi anche della posta" disse risoluto.

Sbuffai e prendendo il fardello con entrambe le mani, mi avvicinai a passo veloce verso l'ascensore.

"Non lasciarlo sull'uscio, consegnalo direttamente" mi ammonì una volta che fui entrato.


Quando cercai il mittente sulla fattura incollata al cellofan, lo trovai sotto il nome di "Zayn Malik"
Conoscevo già il numero della sua camera, quindi pigiai prontamente il bottone con su scritto il numeretto "due" ed aspettai che l'ascensore si muovesse.
Mi rigirai ancora qualche altra volta il pacchetto tra le mani stupendomi del fatto che ad uno come Zayn potesse interessare la psicologia. Non che io avessi avuto a che fare con lui, ma a primo impatto non mi sembrò affatto uno a cui interessassero i perché dei comportamenti umani e dei processi mentali, ma evidentemente mi sbagliavo.

Non appena le porte si aprirono, mi diressi verso la fine del corridoio ed indugiai per qualche secondo sull'uscio, prima di decidermi a bussare.

"Chi è?" mi domandò una voce dall'interno.

Io, confuso sul da farsi, "Posta" annunciai prima di ricordarmi che, pur svolgendo due lavori, il postino non rientrava di certo tra quelli.

Quando la porta si aprì, la figura di Zayn comparve sulla soglia.
A differenza di tutte le volte in cui aveva partecipato alle nostre uscite, non stava indossando gli skinny, ma dei pantaloni della tuta grigi e larghi ed una maglia slabbrata all'altezza del collo.
Vedendolo mi ricordai del momento in cui aveva cercato di trattenere Harry durante la lite con Michael e lo ringraziai silenziosamente per essere stato presente quel giorno o i due ne sarebbero usciti con qualcosa di più grave che qualche graffio.

"Louis?" fu la prima cosa che disse trovandomi lì, di fronte alla sua porta. "Hai bisogno di qualcosa?" domandò poi con fare confuso.

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