Capitolo 8

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Capitolo 8

Di ricercato conforto e torbide rivelazioni


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Era la prima volta che si recava ad Arley Hall, nella nuova reggia di campagna che Thomas Shelby si era comprato con i proficui guadagni degli ultimi mesi. Si trattava di un palazzo colossale eretto con mattoni rossi scozzesi e dal fine tetto d'ardesia abbellito con alti torrioni, sopra cui svettavano sporadiche guglie dai motivi gotici. Tutt'attorno lo circondava un curato giardino verdeggiante di tigli, ciò nonostante privo di colori accesi. Si notava l'assenza di una figura femminile che lo abbellisse con ricche composizioni di fiori profumati.

Era una dimora più bella di quella posseduta da Lucas Smith, proprio come le aveva anticipato durante il ricevimento tenuto da quest'ultimo. Anche se era fredda, impersonale.

Come il suo padrone, dopotutto. Rispecchiava il suo animo.

Una pioggia incessante cadeva dal cielo cupo ed era oramai notte fonda, forse le 23, Amanda non lo sapeva sostenere con esattezza in quanto aveva dimenticato l'orologio da polso al centro addestramenti.

Il colloquio con il padre si era tenuto solo qualche ora prima, eppure da allora non era riuscita a riacquistare la dovuta lucidità. E l'unico posto che le era balzato in mente per farsi consolare era proprio l'ultimo luogo che fino a qualche mese prima avrebbe solo lontanamente preso in considerazione: la dimora di Thomas fottutissimo Shelby.

Amanda superò il cancello in ferro battuto e si arrestò, con l'auto accesa, al centro del piazzale di ghiaia.

Spense il motore, spalancò bruscamente la portiera e scese dal mezzo, alla totale mercé della pioggia.

Rimase per un minuto buono impalata come un'idiota sotto all'acqua che cadeva ininterrottamente, chiedendosi se era il caso di bussare o se era meglio ritornare sui propri passi. Faceva ancora in tempo a cambiare idea, dopotutto nessuno sembrava essersi accorto della sua venuta.

"Fanculo" sussurrò tra sé alla fine dopo protratti ragionamenti senza capo né coda, passandosi una mano sul volto per cacciare via delle fastidiose goccioline che le si erano incastonate tra le ciglia e che le impedivano dunque di tenere gli occhi spalancati.

Scosse la testa, si diresse spedita verso l'ingresso e si attaccò al campanello con l'indice.

Sentì solo parecchi minuti più tardi il rumore dei cardini che cigolavano.

Thomas ci mise un po' ad aprire la porta e quando la riconobbe non riuscì a nascondere la sorpresa nell'espressione solitamente indecifrabile.

L'uomo indossava la sola camicia bianca che era, per qualche bottone, spalancata sul petto e che lasciava intravedere un lembo scoperto di pelle chiarissima, perlacea a confronto con la luce lunare. Infine sfoggiava gli stessi pantaloni scuri da giorno, che ricadevano stretti dalla vita in giù, evidenziando il fisico asciutto.

Non si era cambiato, era palese che stesse ancora lavorando a tarda sera e che lei lo avesse disturbato nel pieno degli affari.

"E' successo qualcosa?" le domandò difatti, più per cortesia che per reale interesse.

Dio, Thomas. Quando imparerai un briciolo di educazione?

O almeno, a fingere interesse per le questioni altrui. E a nascondere l'innato menefreghismo, già che ci sei.

"Sono stata letteralmente rapita da mio padre e costretta a un colloquio indesiderato. Mi faresti compagnia?" chiese Amanda con tono implorante, scostandosi dal volto inzuppato una ciocca fastidiosa. Cielo, non era da lei supplicare. "Ti prego" aggiunse tuttavia in un flebile sussurro, strozzato.

End Game || Thomas ShelbyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora