Capitolo 11

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Capitolo 11

Di rocamboleschi casinò e intese ritrovate


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"Cazzo, Tommy. Ma questo è uno stramaledetto parco giochi dei vizi!"

Arthur valutò il casinò con un fischio di sincera approvazione.

Le pareti dell'edificio erano riccamente decorate in stile barocco e a tratti imperialista, con pesanti tendaggi in damasco rosso appesi ai muri tinteggiati di fresco, tanto che il gradevole odore di nuovo aleggiava ancora nell'aria. Lampadari in purissimo cristallo rischiaravano l'ambiente, donando un'atmosfera ultraterrena tramite un sapiente utilizzo di chiaroscuri, in un gioco di ombre reso ancor più surreale grazie all'intenso profumo di oli orientali che proveniva dalle rare candele.

Il casinò era gremito di tavoli da gioco con le più dissipate tipologie di carte, dal poker al blackjack e per concludere le immancabili roulette. Ma soprattutto c'erano tavoli per consumare bevande di ogni sorta, per fumare liberamente e per accoppiarsi con qualsiasi procace puttana girasse nel locale, ovviamente istruita per essere a completa disposizione e per soddisfare ogni più fantasiosa richiesta dei libidinosi ospiti.

Quella notte si sarebbe tenuta l'attesa inaugurazione e i primi clienti, tra cui noti sindaci della zona, politici emergenti e scrittori, stavano iniziando a mettere piede all'interno di quelle mura dai colori dorati, agghindati con abiti eleganti e vistosi, tirati a lucido per non sfigurare in una marea di pezzi grossi.

Già, l'oro, come il colore dei soldi con cui mi ricoprirò, pensava nel frattempo Thomas, fumando beatamente una sigaretta mentre si gustava la scena dall'alto della postazione riservata agli Shelby e dunque sopraelevata rispetto alla platea.

Espirò con estrema lentezza, come se attraverso la nicotina potesse godere del potere che esercitava, del potere che stava iniziando visibilmente a prendere forma dinnanzi ai suoi avidi occhi di ghiaccio.

Oh sì, iniziava ad essere qualcuno di influente nell'ambiente che contava.

Lanciò uno sguardo distratto al fratello, rammentandosi all'improvviso che fosse in attesa di una sua risposta.

"Allora Arthur, ora che per la prima volta hai visto un casinò dal vivo, pensi ancora che sia un'idea stupida investirci?"

"Mi prendesse un colpo all'istante se mento, proprio no! Altro che quei cazzo di localetti jazz di Londra. Questo è il vero paradiso" replicò Arthur compiaciuto, annuendo tra sé. Poi individuò un cameriere che stava passando con un vassoio in precario equilibrio e lo bloccò poco garbatamente, afferrandolo con la sua manona per una spalla. "Inizia a portare una dozzina di bottiglie che qua abbiamo bisogno di una sbronza epica. Anzi, ma che dico? Sarà una sbronza colossale! Beh, che ci fai ancora qui impalato? Muovi il culo, veloce cazzo, veloce! O te lo faccio saltare a suon di fucilate!"

John, che era stravaccato poco signorilmente a lato del duo, rise a crepapelle dinnanzi alla scena.

"Arthur, ma ti sei fatto di Tokyo? Sono solo le 20 di sera e sei già marcio."

"John, lascialo in pace. Oggi è un'occasione speciale, può essere in botta come un cavallo se gli va" lo giustificò Thomas, dandogli una ponderosa pacca sulla schiena. Arthur in tutta risposta si scrollò dalla presa e biascicò qualche cruda bestemmia.

"Mica volevo sgridarlo, stavo giusto per chiedergli se me ne dava un po'. Avanti, condividi la neve con il tuo fratello preferito" riprese John, sporgendosi verso un Arthur decisamente euforico che gli passò in tutta risposta un tubicino pieno di cocaina.

End Game || Thomas ShelbyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora