Io non ho dimenticato

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<Lorenzo, smettila di correre così veloce. Non riesco a seguirti fin là!>.

Francesco era esausto, era tutto il pomeriggio che rincorreva il suo migliore amico per i vasti ed infiniti corridoi del palazzo di suo zio Jacopo. Quel bambino dai lunghi riccioli neri e gli occhietti vispi quanto quelli di una volpe conosceva a memoria ogni singola sala e non smetteva mai di correre. Ogni volta che credeva di averlo raggiunto, ecco che all'istante riprendeva la sua fuga e saltellava contento, spalancando tutte le porte che permettevano l'accesso ad un'altra stanza.

Francesco decise che era il momento di fermarsi: sapeva che non l'avrebbe trovato. Sin da quando avevano imparato a camminare, rincorrersi e nascondersi era diventato il loro passatempo preferito. Invano i loro genitori avevano tentato di intrattenerli con giochi altrettanto divertenti: quei due bambini erano incontentabili, niente sembrava permanere troppo a lungo nella loro mente. Avevano sempre bisogno di movimento e di costante esercizio fisico, non riuscivano a rimanere fermi per più di qualche secondo. Inoltre quei due monelli erano inseparabili, dove andava l'uno andava l'altro. Erano legati da un'amicizia profonda e sincera, un sentimento puro e incontaminato come può esserlo solo a quella giovane età. Lorenzo era così riflessivo e silenzioso, mentre Francesco non smetteva mai di sorridere, sembrava quasi essere nato con quel ghigno divertito stampato sul volto. Si completavano a vicenda, ognuno aveva bisogno dell'altro per sopravvivere. Erano ancora ignari del loro futuro e di cosa le loro famiglie stavano progettando alle loro spalle, ancora un paio di anni e di tutta quella gioia non sarebbe rimasto nulla. 

Francesco emise un sospiro rassegnato: come poteva Lorenzo conoscere le stanze di casa sua meglio di quanto avrebbe dovuto fare lui?  Quel bambino non smetteva di sorprenderlo.

Decise allora di sedersi su una delle grandi sedie che occupavano la sala dei ricevimenti. Se suo zio avesse saputo che si trovava lì sarebbe andato su tutte le furie, avrebbe cominciato a gridare e lo avrebbe sicuramente ricondotto alle sue stanze, chiudendo la porta a chiave. Cercò allora di muoversi il più silenziosamente possibile, stringendo forte lo schienale di legno dello sgabello e facendosi forza sulle sue dolci e delicate ginocchia. Fece un saltello e finalmente si ritrovò seduto, pronto a scendere nel caso avesse sentito il rumore di passi provenire dal corridoio esterno. 

All'improvviso sentì una mano scompigliargli i capelli. 

Francesco si voltò impaurito, con il timore di ritrovarsi di fronte il volto corrugato e arrabbiato di suo zio. Invece lì a guardarlo indispettito c'era il piccolo Lorenzo, con le mani ai fianchi e i lunghi riccioli mori a coprirgli gli occhi. Come aveva fatto a correre tanto veloce senza mai inciampare o rompere qualcosa con quei capelli così lunghi? 

< Credevo mi stessi seguendo, invece mi sono girato e tu non c'eri. Così stai barando!>.

Francesco scese giù dalla sedia e si stropicciò gli occhi stanchi.

< Io non riesco a correre veloce come fai tu. Ti chiedo di aspettarmi ma non lo fai mai, sei tu che bari!>.

Lorenzo corrucciò il labbro pensoso e adagiò un ditino paffuto sulla tempia destra. 

< E' possibile che io non ti abbia sentito. Ma ti giuro che non l'ho fatto di proposito, lo sai che non ti prenderei mai in giro>.

Francesco si tranquillizzò ed abbassò le spalle rassicurato. Non voleva mettersi a piangere davanti al suo migliore amico, non voleva mostrarsi dispiaciuto per un malinteso così stupido.

Tese la mano verso Lorenzo e aspettò che l'amico facesse lo stesso. Entrambi sollevarono il dito mignolo e lo strinsero l'uno attorno l'altro: quello era il modo con cui sancivano la fine del loro litigio per proclamare la resa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 16, 2022 ⏰

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