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17 DICEMBRE 1985

Martin's pov

Mi guardai intorno, scrutando la mia nuova "stanza", se così si può chiamare.
Non mi piaceva quel posto, ma almeno, ora che mi ero "rivelato utile", per dirlo con le loro parole, avevo un letto un tavolo e qualche sedia, non più la panca di pietra senza neanche un cuscino.

Ripensai agli avvenimenti delle ultime ore. Un po' mi dispiaceva per mia figlia, ma tanto sarebbe presto tornata da me... non la lascerei mai nelle mani di questi idioti senza la più totale sicurezza che tornerà indietro.
Il mio piano sarebbe andato a buon fine. Non c'era alcun motivo per preoccuparsi.

Un uomo tracagnotto e pelato si precipitò nella mia stanza, senza neanche bussare. Mi segnai mentalmente di farlo licenziare, ma poi la parte razionale del mio cervello mi ricordò che non ero più ad Hawkins. Non potevo più dettare ordini, per ora.

Il tipo era tutto affannato, come se avesse appena corso, o comunque camminato molto velocemente.
<<У нас есть еще один заключенный-американец, полицейский, и нам срочно нужно, чтобы вы пришли и перевели то, что он говорит!>>
Non mi era mai piaciuto il russo, ma per sopravvivere avevo dovuto impararlo.

Un pensiero si fece largo nella mia testa. Possibile che fosse quel poliziotto?
No, impossibile. Da quando quel ciccione era riuscito a liberare il ragazzo e sconfiggermi in astuzia ero diventato paranoico perfino io che non avevo mai paura di niente. O quasi.

Sbuffai.<<орошо, я иду>>
L'uomo uscì dalla stanza, facendomi segno di uscire. Camminavamo così velocemente che in meno di cinque minuti facemmo almeno ottocento metri, arrivando così a una stanzetta semicircolare con delle pareti di ferro grigio.

Al suo interno c'erano quattro sedie disposte ai due lati di un tavolo. Lì vi erano seduti un generale russo, l'uomo di prima che intanto era già arrivato e indicava la sedia di fianco a me e, tutto acciaccato come se fosse appena stato malmenato c'era lui, legato a una seggiola.

Jim Hopper era svenuto, davanti a me, con un occhio nero e del sangue che gli colava dalla testa.

Hopper's pov

Mi svegliai al suono della campana che risuonò per tutto il carcere. Ero sulla mia scomodissima lastra di pietra, come sempre negli ultimi sei orribili mesi di prigionia.

Mi alzai e come di routine mangiai la fetta di pane secco e ammuffito che era stata inserita tra le sbarre della mia cella poco prima, poi mi alzai e, quando arrivò la guardia che mi avrebbe scortato uscì per andare a sgobbare su quei lunghissimi binari che non avevo ancora capito perché andassero costruiti. Probabilmente per nessun motivo particolarmente importante. Dopo ore di lavoro sotto la neve un'altra campana annunciò la pausa pranzo. Dopo un piatto di zuppa stantia tornai alla mia tortura personale, come la definivo quando ero appena arrivato qui in Kamchatka. Finalmente, passato il peggio, arrivò l'ora della nanna. 

Insomma, credevo che per me fosse una giornata come tutte le altre.

Oh, quanto mi sbagliavo.

Mentre cercavo di prendere sonno sdraiato su quell'orribile branda pensando a mia figlia, un enorme carceriere entrò nella mia sontuosa dimora.
<<ты должен пойти со мной сейчас. Вас будут допрашивать>>
Disse con quello che credetti un tono stizzito.

Non avevo capito nulla, dato che negli ultimi mesi nessuno mi aveva insegnato il russo ed era troppo difficile per essere imparato da autodidatta. Almeno da me, americano da sempre negato con le lingue.

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