📜 1. «Odore di caramelle»⚜

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La pittura di Edward Hopper era sempre stata inconfondibile per Jungkook. Sarebbe restato lì, ad osservare i suoi quadri per sempre. Così tanto tempo che altri al posto suo si sarebbero sentiti disgustati ad un certo punto. Eppure per lui era un continuo scoprire, rivalutare, esaminare.

Il signor Hopper dipingeva quello che provava e non quello che vedeva. Forse anche per ciò piaceva così tanto a Jungkook, si sentiva compreso. Sapere che ci fosse stato qualcuno che non si fosse banalmente fermato alle apparenze, lo confortava.

Si potrebbe dire che la protagonista nella maggior parte delle sue tele fosse l'architettura, probabilmente perché gli esseri umani erano relegati a un ruolo secondario nella composizione. Forse. Ma forse la vera protagonista delle sue tele era la solitudine.

Quella solitudine che Jungkook non sapeva se odiare o amare. L'univa cosa che aveva capito, era che il rifugiarsi in essa era diventata fin troppo un'abitudine.

Non sapeva il perché, non conosceva la ragione per la quale si comportasse in quel modo. Eppure lo faceva. Jeon Jungkook era uno stronzo di prima categoria con qualsiasi essere umano provasse una sorta di amore nei suoi confronti.

Il perché? Non lo sapeva nessuno e lo stesso Jungkook non se ne faceva un problema, andava così e basta. Non voleva legarsi a nessuno, non ne sentiva il bisogno e tutti quelli che provavano a farlo con lui, gli procuravano solo fastidio.

Insomma, era stato tanto chiaro. Nella sua università ma anche fuori sapevano che il nome Jeon Jungkook corrispondesse a un "ti sfondo ma senza amore".

E li risvoltava veramente come lenzuoli tutti coloro che finivano a letto con lui, ma poi dovevano smammare e pure velocemente. Odiava i suoi spazi invasi. Voleva il suo spazio vitale ed una volta finito il divertimento, non c'era scusa che tenesse.

Eppure le persone insistevano, e la cosa stupefacente era che non fossero le ragazze quelle ad essere più invasive, bensì i ragazzi. Forse perché di così belli e bravi non se ne trovavano tanti in giro e quindi si ancoravano peggio delle cozze sullo scoglio. 

E Jungkook non sapeva neanche cosa fosse l'avere pazienza, quindi massimo venti minuti e poi li prendeva e buttava fuori casa senza se e senza ma.

Ma l'incoerenza della gente era ancora più grande, perché per quanto sapessero quale fosse la sua fama, la sua reputazione, continuavano a sbatterci la testa, rimanendo poi feriti. Ed il corvino non si sentiva minimamente in colpa, lui le cose in chiaro le aveva messe, che poi gli altri capissero o no, era un problema loro. Beh, lui per provocarli però si impegnava ed anche tanto, ed era un comportamento che riservava anche ai suoi amici.

«Non farò sesso con te» Jimin si scansò di poco, spostandosi con il sedere di qualche centimetro sul divano, mentre scavava nella ciotola ricolma di patatine.

«Veramente non vuoi darmi l'onore di provare quelle tue labbra adorabili?» il dito indice di Jungkook affondò nella guancia del suo amico e poi andò a giocarellare con le ciocche di capelli bionde.

Jimin si girò e stufo gli infilò una patatina in bocca per farlo stare zitto «Guarda che lo so che quell'adorabili sta per altamente scopabili e no, se proprio lo vuoi sapere non riuscirai a profanarmi la bocca»

Jungkook sbuffò buttandosi a pancia all'aria sulle gambe dell'altro e mettendo su l'espressione più cucciolosa di sempre. Jimin lo conosceva fin troppo bene e non avrebbe ceduto, accontentarlo non era mai una buona idea «Tienitelo nei pantaloni Kook e se sento quella mano salire ancora di più sulla mia coscia, giuro che te la trancio»

«Quanta acidità, io te lo ripeto, ti ci vorrebbe proprio una bella scopata»

«E magari proprio con te» ironizzò l'altro ricevendo una scompigliata di capelli «Alta qualità in casa Jeon, l'offerta sarà sempre e comunque disponibile» lo lasciò stare e si alzò capendo che da lui non avrebbe ottenuto proprio un bel niente.
D'altronde si stava facendo anche tardi e sarebbe dovuto tornare a casa. Era relativamente stanco, aveva passato la mattinata in Accademia, il primo pomeriggio alla mostra di Edward Hopper e poi era finito, giusto per perdere un po' di tempo, a casa di Jimin. Così prese il suo giubbino, le chiavi della macchina e salutò Jimin con un bacio volante che venne ricambiato da un dito medio. Risiedeva tanto affetto tra di loro, già.

Sì, ci provava sempre e comunque, che poi le avance andassero a buon fine o no, non era importante. Là fuori aveva la sfilza di persone a richiederlo, un buco lo avrebbe trovato in ogni caso. Così una volta seduto sul sedile, estrasse il telefono e con il pollice fece scorrere i numeri in rubrica.

Quella sera fu abbastanza soddisfatto, passò due ore dedicate pienamente ai piaceri carnali per poi afferrare i vestiti di quella ragazza e metterglieli tra le braccia «Tempo scaduto» aspettò che si rivestisse e la spinse dalle spalle fuori dalla porta, ignorando le sue continue lamentele «No, ti prego, niente storie. Ciao ciao» si spalmò un sorriso falso in volto, tirato il più possibile e poi chiuse, rilasciando un lungo sospiro.

Si incamminò per il salotto, alzando le braccia in aria e stiracchiandosi «Meglio dare una ripulita» avevano combinato un po' di disastro, insomma i cuscini erano sparpagliati ovunque, le lenzuola appiccicose tra sudore e altro. Storse il naso disgustato e si prefissò in mente che magari in futuro avrebbe dovuto evitare di portare gente a casa sua. Ma appena fece il passo successivo vide tutto intorno muoversi. Si bloccò di colpo e si mise una mano sulla testa, strizzò gli occhi per cercare di riprendersi. Eppure sembrava andare sempre peggio, vorticava tutto, oscillava a destra e sinistra e poi cadde sulle ginocchia non riuscendo più a mantenere l'equilibrio «Ma che diavolo sta succedendo?» 

E con il respiro affannato, gli si chiusero gli occhi, cadendo supino sul pavimento. 

Non seppe quanto tempo trascorse, prima che la sensazione di nausea passò. Ma ad un certo punto sentì un odore di caramelle, misto a libri antichi invadergli le narici.

Riaprì gli occhi di colpo, ma rimase steso a terra. Scrutò attentamente tutto ciò che fosse compreso nel suo raggio visivo, notando una villetta, un rustico più che altro. Questa casa coperta di pietre grezze e piante rampicanti. Le finestre incorniciate da degli infissi in ferro, i vari vasetti ripieni di fiori colorati e un comignolo appena fumante.

Tastò dell'erbetta fine sotto le sue mani e realizzò.

Non era più a casa sua.

E quindi la domanda era: dove cazzo mi trovo?

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𝑺𝑶𝑮𝑵𝑶 𝑶 𝑹𝑬𝑨𝑳𝑻À? //  ᵗᵃᵉᵏᵒᵒᵏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora