Capitolo 9 - Show televisivo

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I Tributi si muovevano nel caotico backstage di uno studio televisivo, tra impalcature metalliche, luci, microfoni e attrezzatura varia.

La ragazza era seduta su una grossa cassa in alluminio, in attesa di fare il suo ingresso in scena. Non aveva nemmeno capito bene per quale motivo si trovassero lì.

Da quando il giorno prima aveva minacciato gli Strateghi, tutti le stavano a debita distanza, e non poteva che esserne entusiasta. Sia i Tributi che i membri dello staff si guardavano bene dal rivolgerle la parola o avvicinarsi a meno di un metro e mezzo.
Finalmente era riuscita a ottenere ciò che desiderava: pace e silenzio.

Per sua sfortuna, però, Jean continuava ad approcciarla, soprattutto durante le sue crisi di panico. Ormai nessuno ascoltava più le lagne del giovane e tutti si dileguavano appena notavano sul suo viso le prime avvisaglie di malinconia. Tutti tranne lei, che, nonostante all'apparenza sembrasse sempre ostile e insofferente, stava lì ad ascoltarlo. La sua pazienza era limitata, certo, ma lo lasciava sfogare e solo quando il cacciatore di giganti si trovava a ripetere per la terza volta una specifica preoccupazione, gli intimava di smettere, sorprendendolo con tutta la sua sincera schiettezza, riportandolo alla realtà.
Avrebbe potuto semplicemente compiangerlo, come all'inizio avevano fatto gli altri Tributi, con qualche falsa parola di solidarietà e le loro ipocrite frasi fatte; invece gli aveva sempre sbattuto i fatti davanti agli occhi con razionalità, per fargli capire che c'era altro al di là del suo punto di vista limitato dall'ansia, costringendolo a ragionare e a vedere oltre.
Dietro a quella sua apparente insensibilità e freddezza, quella ragazza forse provava della vera empatia per lui.

Ecco perché il giovane era per l'ennesima volta accanto a lei, intento ormai da dieci minuti buoni a esibirsi in uno dei suoi soliti monologhi, in preda all'ansia da prestazione da palcoscenico.

«Cazzo, Ray, stai zitto!» gli sibilò contro la ragazza con tono seccato, massaggiandosi le tempie.

Jean si ammutolì e la fissò incuriosito, «Chi è Ray?»

«Cosa?» Lei gli lanciò un'occhiata confusa.

«Mi hai appena chiamato Ray.»

Scosse la testa e i ricci le solleticarono le guance, «Oh, scusa, John-»

«Jean!»

Ignorò la correzione e continuò a parlare imperterrita: «Devo aver sbagliato logorroico, perdonami. Sono abituata a dover zittire lui. Sai com'è: forza dell'abitudine.»

«Ray è il tuo Marco?» esordì il cacciatore di Giganti ammiccando.

«No, è solo un rompiballe che mi ritrovo sempre tra i piedi e, può sembrare impossibile, ma è ancora più fastidioso e logorroico di te!»

«Allora perché stai sorridendo?» La fissò con sguardo sornione.

«Cosa?»

«È la prima volta che ti vedo sorridere in quel modo.»

Un membro dello staff con delle cuffie sulle orecchie e una cartellina in mano li raggiunse, «Jean Kirschstein? Tu sei il primo. Tra un minuto entri in scena. Seguimi!»

Il giovane divenne di colpo paonazzo e il suo respiro accelerò per l'emozione. Se quel programma era davvero così seguito, avrebbe potuto mandare un messaggio in diretta a Marco.
Fece un cenno di saluto alla ragazza e seguì l'uomo con passo rigido ma svelto.

Lei gli urlò dietro: «Ehi, che volevi dire? Non sto sorridendo... In che strano modo dovrei sorridere, scusa?»

Il cacciatore di giganti, però, non le rispose e scomparve oltre la porta.

At the Hunger Games (Parodia) - La ragazza dagli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora